Vicenza ricorda Roberto Montanari, “el pintor de los toros”. Un’occasione per riqualificare il quadrilatero di viale Milano

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Sabato 30 maggio alle ore 10:30 in viale Milano 14 a Vicenza verrà affissa una targa in memoria dell’artista Roberto Montanari, romagnolo di nascita e di carattere, ma vicentino d’adozione. Il suo studio diede lustro al cosiddetto quadrilatero di viale Milano, con le limitrofe vie Torino, Napoli e Firenze. Una zona oggi conosciuta purtroppo quasi solo per il degrado, ma che era fulcro artistico e culturale della città grazie proprio allo studio di Montanari. Alla cerimonia saranno presenti il sindaco Francesco Rucco e rappresentanti della Regione. Per ricordare la figura del “pintor de los toros“, allievo di Salvador Dalì, e spiegare soprattutto alla cittadinanza di come la memoria viva e presente della sua arte possa essere una grande opportunità di rilancio del quadrilatero di viale Milano ma anche dello stesso settore turistico della città del Palladio, soprattutto in un momento storico come questo in cui c’è bisogno di ripartire dopo l’emergenza Coronavirus, e di farlo magari con piccole esposizioni, gallerie permanenti, in collaborazione con le botteghe, con i commercianti, piuttosto che con le Grandi Mostre o i Centri Commerciali, abbiamo parlato con il figlio Giorgio, titolare dell’azienda Building Solution, sponsor dell’evento.






«L’idea della targa è nata dai cosiddetti aficionados di Roberto Montanari – spiega il figlio – soprattutto quelli di viale Milano e San Felice. L’idea era anche di dedicargli un museo, una galleria permanente. Per permettere anche alla città di recuperare un ulteriore aspetto artistico a suo favore. Mio padre aveva un suo modo di fare e una sua esuberanza che metteva tutti quanti a loro agio e per cui era difficilmente dimenticabile. Distribuiva allegria, gioia di vivere. Io non l’ho mai visto abbacchiato, depresso. Nemmeno quando ebbe gravi problemi di salute come il tumore al cervello. Lo chiamavano “il toro della pittura“. E poi portò a Vicenza, in viale Milano, tutta una serie di personaggi, da Sergio Leone a Gino Bramieri. Leone venne a presentare qui “C’era una volta in America” e parlava con lui di fare un film sulla tauromachia. Il suo studio era diventato, come lo chiamava lui, il salotto culturale di Vicenza».

«Il giorno in cui gli hanno consegnato il titolo di cavaliere della Repubblica, lui rideva e scherzava con tutti. Ha creato il premio città Palladio, ha fatto venire una serie di artisti, Giò Pomodoro, Simon Benetton, Pietro Annigoni, fece fare una mostra collettiva alla chiesa teatro di San Felice, poi diede il ricavato in beneficenza. Insomma, ha fatto cose concrete per la zona.



«Mio padre girò il mondo, frequentò due Accademie di belle arti, in Spagna incontrò Dalì che fu il primo a riconoscergli le doti artistiche. Lui si identificava in una serie di caratteristiche, che erano quelle del colore, della tridimensionalità dei suoi paesaggi, dei tori, del movimento. Tutto ciò costituiva uno stile unico, il suo. Fu molto influenzato dalle poesie di Garcia Lorca e da un film con Tyrone Power, “Sangue e arena”. E poi i libri di Hernest Hemingway sulla Spagna, il romanzo “Fiesta”, il saggio sulla tauromachia “Morte nel pomeriggio”. Il toro era un simbolo della sua spiritualità, della sua forza interiore. Penso che l’energia la prendesse dai suoi quadri e soprattutto dai suoi tori. E poi era molto religioso. In certe fasce di orario in cui lui pregava non voleva essere disturbato da nessuno. Ha avuto diversi incontri con sua santità Giovanni Paolo II, abbiamo conservato anche delle lettere di apprezzamento.

Abbiamo scoperto dopo 4 lauree honoris causam, e diversi titoli accademici. Ma lui era molto umile, semplice, non sfoggiava questi titoli, per lui incontrare un operaio o un ministro era la stessa cosa. Entrare nel suo studio era come entrare nel suo mondo. Un mondo fatto di luce, di colore di sole, di serenità, di energia, ma dove la presenza umana non c’è, perché, diceva lui, avrebbe disturbato (parole che fanno riflettere anche alla luce del recente lockdown umano e del rapporto spesso controverso tra uomo e natura i cui effetti ci colpiscono in maniera improvvisa e lacerante, n.d.r.). Un giorno, in una cartoleria di San Felice storica, comprò un cartoncino da uno o due centimetri per un metro e li usò per farci dei quadri. Sono le cosiddette fessure, in cui lui dipingeva un intero paesaggio come se noi lo vedessimo attraverso appunto una fessura».

«In questo si sente molto l’influenza del surrealismo di Dalì da un lato e della prospettiva di Virgilio Guidi dall’altra. Come anche nella sua “Ultima cena”, dipinto prima che scoppiasse la Guerra del Golfo e in cui anticipa un futuro fosco per l’umanità. Ci sono tre statue, che rappresentano passato, presente e futuro, una statua coperta, una figura umana a testa in giù, il muro di Berlino, con le mani insanguinate, prima che cadesse, ha dato una visione di quello che sarebbe stato prima che accadesse. Aveva una visione che per quell’epoca era molto avanti».

La speranza è che l’iniziativa di sabato non rimanga fine a se stessa, ma abbia un seguito, proprio nell’ottica della riqualificazione della zona. «Se questa zona tornasse ad essere vitale da un punto di vista artistico e culturale – con clude Giorgio Montanari – sarebbe un modo anche per vivere la città in maniera diversa, con meno macchine. Perché è una zona molto vicina alla stazione, che un turista può raggiungere e girare facilmente a piedi. Si potrebbe coinvolgere anche i negozianti della zona e fare una mostra itinerante, esponendo le opere del Montanari nei negozi. A Thiene lo hanno fatto, con un percorso con 12 opere dentro la cittadina, in occasione dell’evento “Thienerife”, con una serata dedicata al flamengo».

Ph Archivio Roberto Montanari

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