Ritrovamenti “imprevisti” sotto il pavimento delle serre del Parco Querini: la denuncia pubblica di Civiltà del verde

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Ritrovamenti sotto le serre di Parco Querini

“Si sa dove si scava ma non si sa cosa si trova”! Mai detto fu più azzeccato per provare a raccontare la storia infinita, che sa molto di vergognoso e quindi anche di indignazione, dei lavori “di restauro e rifunzionalizzazione delle ex serre Cunico di Parco Querini”: così inizia la nota che pubblichiamo dell’Associazione Civiltà del Verde di Vicenza sui ritrovamenti “imprevisti” sotto il pavimento delle serre del Parco Querini

Romana Caoduro, presidente di Civilta? del verde, parla con i giornalisti
Romana Caoduro, presidente di Civilta? del verde, parla con i giornalisti

Il fatto è che Parco Querini, diversamente da quanto si lascia intendere, non è un appezzamento di terreno qualunque, dove accadono cose impreviste e imprevedibili. Parco Querini è un parco pubblico storico monumentale sottoposto a vincolo di tutela ai sensi degli artt. 21 e 22 del D.Lgs. 42/2004, meglio noto come Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.

E’ bene ricordarlo perché è giusto si sappia, che in queste condizioni nulla è o può essere lasciato al caso, né ci possono essere sorprese in ciò che il contesto “nasconde”, come invece l’articolo pubblicato domenica 13 ottobre 2019 lascia supporre.

La “scoperta” dei mesi scorsi, portata a conoscenza dei cittadini solo ora (chissà perché?), suona invece come un fatto ben noto a chi il Parco Querini l’ha studiato in tutti i suoi aspetti per poter offrire all’amministrazione comunale spunti utili per intervenire con progetti rispettosi dell’importanza e della fragilità del bene. Ma chi ha responsabilità nella gestione di questo progetto ha finto di non sapere.

OItre ai giornalisti molti i cittadini presenti alla conferenza di Civilta? del verde
OItre ai giornalisti molti i cittadini presenti alla conferenza di Civilta? del verde

E’ un fatto che la ditta Diego Malvestio, specializzata in scavi per indagini geo-archeologiche, più volte intervenuta all’interno di Parco Querini, questa “scoperta” l’avesse fatta già nel 2002, durante uno studio appositamente appaltato dal Comune di Vicenza in vista del futuro restauro delle serre. Nel 2017, in occasione del progetto di “rifunzionalizzazione” pagato con i fondi del Bando Periferie (!) la stessa ditta è stata nuovamente incaricata di indagini archeologiche preliminari alla progettazione dei lavori durante le quali si sarebbe dovuto mettere in luce ogni altro aspetto ancora non noto. Indagini che sono costate al Comune di Vicenza.

Un fatto è certo: manca la consapevolezza che le serre di Parco Querini sono una macchina sofisticata e complessa, composta di parti fuori terra e di parti celate nel sottosuolo, che svolgevano funzioni essenziali per il loro funzionamento. Eppure gli elementi per dimostrare questa, che per gli esperti di questo tipo di monumenti è un’ovvietà, c’erano e non sono stati usati! O non sono stati fatti emergere a tempo debito.

Si tratta di apparati tecnici essenziali, studiati, ristudiati e presenti in altre serre ottocentesche simili a quelle di Parco Querini. Si vedano le numerose relazioni prodotte dai progetti precedenti orientati al restauro conservativo- filologico, accantonati per dare spazio a una nuova e ingiustificata creatività, in contrasto con il progetto preliminare del 2013 che doveva, per legge, guidare le fasi successive.

Noncuranza o precisa volontà? Eccezione o regola? E così negli ultimi scavi per la bonifica bellica di inizio 2019 con il supporto tecnico della stessa ditta Malvestio si ri-scoprono le canalette e tutto il sistema di riscaldamento, e i muri di sostegno! Cosa pensiamo: mica facevano senza testa le cose nel passato!

E allora come si spiega questo “fortuito” ritrovamento? Come lo si giustifica?

C’è da dire che il progetto delle serre è eccezionalmente segnato da “sorprese” e da incidenti di percorso che obbligano a varianti e in taluni casi obbligano ad aumentare i costi. “Sorprese” che un serio e corretto restauro, rispettoso delle norme e sensibile al luogo, avrebbe permesso di evitare.

Un altro esempio? Il taglio delle piante che si “scopre” intralciano il cantiere dove verrà costruito, per stralci, un nuovo volume di più di 500 metri quadri, e percorsi coperti annessi, in tutto 864 mq, destinato a punto ristoro, servizi igienici e locali tecnici, costruito in strutture modulari che ricordano – lo dicono gli stessi progettisti –  le strutture rimovibili degli allestimenti temporanei. Ma Parco Querini non è la sede di una fiera campionaria! Le strutture metalliche che ingabbiano le antiche serre e costruiscono nuovi volumi è ovvio che saranno destinate a rimanere per sempre nel parco una volta realizzati i moduli, saldamente ancorate a terra, con plinti e piastre in cemento.

E sì perché, è bene ricordarlo, il progetto di “restauro e rifunzionalizzazione delle ex serre di Parco Querini” è un’opera pubblica e come tale dovrebbe rispondere alle norme del relativo Codice degli appalti. Un’opera pagata con soldi di tutti (un milione e 250 mila euro ci ricorda l’articolo più gli 84 mila della variante) con  il bene  culturale che non viene restaurato ma ingabbiato in un “esoscheletro” (termine usato dai progettisti) e il parco arricchito di un nuovo monumento! Quando, come e dove sono state fatte queste verifiche che la legge richiede per dimostrare l’utilità dell’opera? Quando, come e dove è stata fatta la verifica della compatibilità con le norme del Piano Regolatore che, fino a prova contraria, esclude la costruzione di nuovi manufatti in quel luogo, producendo la sua irreversibile alterazione? E infine è mai stato presentato il progetto all’ufficio UNESCO di Parigi per condividere queste scelte e avere, eventualmente, il parere favorevole, nel rispetto delle linee guida della Convenzione internazionale del 1972 sottoscritta dallo Stato italiano?

Tutte cose che chiedono di essere ben spiegate ai cittadini a fronte di un restauro molto discutibile che sembra procedere a suon di continue “sorprese”, come si legge nell’articolo. Neanche si fosse all’alba delle conoscenze tecnico-disciplinari in materia di restauro: una pratica che oggi, più che mai, fa uso di strumentazioni molto sofisticate per eseguire rilievi, analisi stratigrafiche e geotecniche così da essere certi, prima dell’avvio dei lavori, che il progetto che si intende realizzare non danneggerà il bene. Ma forse Parco Querini è solo una sfortunata eccezione!

Già, perché qualcuno – auspicabilmente la Soprintendenza – dovrebbe ricordare agli interessati cos’è il restauro secondo il Codice dei Beni Culturali che è legge dello Stato. L’articolo 29, comma 4, recita chiaramente che “Per restauro si intende l’intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all’integrità materiale ed al recupero del bene medesimo, alla protezione e alla trasmissione dei suoi valori culturali”.

In attesa che ciò avvenga, e per evitare costi materiali e immateriali, nonché economici dovuti ad altre fortuite e impreviste “scoperte”, ci permettiamo di ricordare a quanti hanno responsabilità del progetto delle serre di Parco Querini, che del restauro non ha proprio nulla, che “i beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla conservazione” (art. 20, comma 1, Codice dei Beni Culturali).

Se i nostri timori risultassero giustificati qualcuno ne dovrà rispondere. Altro che “si sa dove si scava ma non si sa cosa si trova”!

Associazione Civiltà del Verde di Vicenza