Richiedenti asilo, con meno fondi salta l’accoglienza: la ricetta di Salvini vince?

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Il ministro Salvini: «Riduco eli 10 curo il budget per ciascun profugo». Ma le coop venete avvertono: «Così addio all’ospitalità diffusa, si torna agli hub come Cona. E si lascia spazio alle scorribande dei furbi»

«Stiamo lavorando perché il costo dei presunti profughi sia tagliato di almeno io euro a persona per risparmiare mezzo miliardo di euro all’anno, che mi piacerebbe investire in sicurezza». L’ha detto il ministro dell’Interno Matteo Salvini, spiegando che «in questo momento ogni richiedente asilo che sta arricchendo le cooperative ci costa 35 euro. Ho dato questa indicazione e penso che entro questo mese otterremo un risultato».


Ma a che servono quei 35 euro? Sono tanti? Sono pochi? Davvero servono per arricchire le cooperative? Si può fare comunque accoglienza con 25 euro (o meno)?

La risposta a quest’ultima domanda è sì, si può fare comunque. Ma di che tipo? Oggi quei 35 euro vengono spesi così (indicativamente, perché poi ciascuna cooperativa sposta i centesimi a seconda delle specifiche esigenze): 9,3 euro per i pasti; 3,8 euro per i beni personali (come i prodotti d’igiene o i vestiti); 2,5 euro per il pocket money (i soldi che l’ospite può spendere come gli pare); 2,1 euro per le spese sanitarie; 2,8 euro per le spese di integrazione (corsi di lingua, borse lavoro, tirocini); 5,1 euro per la locazione e il mantenimento delle strutture di accoglienza, bollette comprese; 9,4 euro per il personale, dagli operatori agli addetti alle pulizie.

Ora, se il Viminale riducesse il budget, queste sono le voci su cui si può intervenire. Il punto, però, è che lo stesso Viminale, col precedente ministro, Marco Minniti, ha imposto alle cooperative di migliorare i loro standard di accoglienza, a beneficio dei migranti, certo, ma anche delle comunità che li ospitano, così da ridurre le tensioni sul territorio. Sono le nuove regole del «decreto Minniti» che le prefetture sono chiamate ad osservare nella predisposizione dei bandi (l’hanno già fatto Treviso e Vicenza, Rovigo ha preferito derogare alcuni aspetti consentendo la messa in rete dei servizi). Qualche esempio? Meno ospiti, spazi più ampi, presenza fissa del servizio infermieristico e implementazione di quello medico, aumento del supporto psicologico e delle ore di insegnamento di italiano ed educazione civica. «Si tratta, semplicemente, di capire che tipo di accoglienza si vuole» spiega Simone Borile, che con la sua Edeco, in passato al centro di furiose polemiche, gestisce gli hub di Cona e Bagnoli (rispettivamente 480 e 200 ospiti) e l’accoglienza diffusa nelle province di Venezia, Padova e Rovigo. «Già oggi l’accoglienza negli hub non supera i 24-24,5 euro ad ospite, come vorrebbe il ministro Salvini, perché è chiaro che più alti sono i numeri, più facilmente si riescono ad ottenere economie di scala. Ma negli ultimi mesi si era detto, a mio avviso giustamente, di virare verso l’accoglienza diffusa, che è meno impattante e genera minori tensioni, e li i costi giocoforza salgono, sulla base del decreto Minniti addirittura sopra i 35 euro. Basti pensare cosa significhi garantire un infermiere in una casa accoglienza con dieci persone anziché con cento».

Ma, obietterebbe un leghista, l’obiettivo è esattamente quello: assottigliare il margine di lucro delle cooperative. «Un’obiezione superficiale replica Loris Cervato, responsabile del Settore Sociale di Legacoop Veneto – perché le coop sociali, per statuto, non possono distribuire utili, quindi è improprio parlare di “lucro”. Vengono remunerate le persone che lavorano ma se i soldi non sono più sufficienti a pagare gli stipendi, è chiaro che nessuno si farà più avanti e i bandi delle prefetture andranno deserti. O peggio, diventeranno terreno per le scorribande delle cooperative poco serie, quelle che trovano comunque il modo di fare i soldi, qualunque sia il prezzo fissato dal ministero. Le faccio un esempio: noi ci siamo impegnati con la Carta della Buona Accoglienza a garantire un rapporto operatore/migranti di 1/10. Se lo portiamo a 1/100 è chiaro che la spesa si riduce. Ma così si finisce per incentivare proprio quel “business dell’accoglienza” che si vorrebbe combattere. Invece che sui soldi sarebbe meglio concentrarsi sui controlli che devono essere veri, sul campo, non solo burocratici, sulle carte».

Il pericolo, paradossalmente, sarebbe quindi quello di ridurre la «qualità» dell’accoglienza, tornando agli hub in stile Cona e lasciando spazio ai furbetti della cooperazione. Come conferma, in chiusa, pure Claudio Zambon, presidente di Ue.Coop Veneto: «Il taglio dei costi rischia di danneggiare i centri di accoglienza veri e ben strutturati che lavorano per gestire con il Governo l’emergenza immigrazione. Per combattere questo tipo di business sono invece necessarie attente verifiche prima, durante e dopo nei confronti di chi si propone di dare ospitalità ai migranti. E va incentivato il lavoro volontario da parte degli ospiti a favore delle comunità che li accolgono. Questo, per 8 italiani su 10, è il miglior veicolo di integrazione».

di Marco Bonet, da Il Corriere del Veneto