Rapporto Censis 2020, gli italiani e il Covid: “il 50,3% dei giovani sta peggio dei loro genitori. Il 49,3% vuole essere curato prima”

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rapporto Censis 2020
rapporto Censis 2020

È stato pubblicato oggi il rapporto Censis 2020 che disegna un quadro abbastanza impietoso della società italiana, in cui l’emergenza Covid ha accentuato fratture generazionali e sociali, soprattutto nei casi in cui c’p chi ha perso il lavoro e chi invece da questa situazione ne sta uscendo addirittura più ricco o comunque non danneggiato economicamente. Differenze non solo tra ricchi e poveri, ma tra chi ha il posto fisso e chi no. Inoltre continuiamo a non essere un paese per giovani: il 50,3% dei giovani vive in una condizione socio-economica peggiore di quella vissuta dai genitori alla loro età. Per 40 lavoratori autonomi su 100, i figli sono passati
in una classe occupazionale inferiore, dentro i ranghi degli operai e del terziario non qualificato.

Come sono i cambiati gli italiani dopo il Covid? Il 57,8% degli italiani è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva, lasciando al Governo le
decisioni su quando e come uscire di casa, su cosa è autorizzato e cosa non lo è, sulle persone che si possono incontrare, sulle limitazioni della mobilità personale; il 38,5% è pronto a rinunciare ai propri diritti civili per un maggiore benessere economico, introducendo limiti al diritto di sciopero, alla libertà di opinione, di organizzarsi, di iscriversi a sindacati e
associazioni. Il 77% ha visto modificarsi in modo permanente almeno una dimensione fondamentale della propria vita: lo stato di salute o il lavoro, le relazioni o il tempo libero. Il 77,1% degli italiani chiede pene severissime per chi non indossa le mascherine di protezione delle vie respiratorie, non rispetta il distanziamento sociale o i divieti di assembramento; il 76,9% è fermamente convinto che chi ha sbagliato nell’emergenza, che siano politici, dirigenti della sanità o altri soggetti, deve pagare per gli errori commessi, che hanno provocato la diffusione del contagio negli ospedali e nelle case di riposo per gli anziani; il 56,6% vuole addirittura il carcere per i contagiati che non rispettano rigorosamente le regole della quarantena e dell’isolamento, e così minacciano la salute degli altri; il 31,2% non vuole che vengano curati (o vuole che vengano curati solo dopo, in coda agli altri) coloro che, a causa dei loro comportamenti irresponsabili o irregolari, hanno provocato la propria malattia e il 49,3% dei giovani vuole che gli anziani siano curati dopo di loro.

Per l’85,8% degli italiani la crisi sanitaria ha confermato che la vera divisione sociale esistente tra i lavoratori è quella tra chi ha la sicurezza del posto di lavoro e del reddito e chi no.

Quasi il 40% degli italiani (il 41,7% dei più giovani) oggi afferma che, dopo il Covid-19, avviare un’impresa, aprire un negozio o uno studio professionale è un azzardo, perché i rischi sono troppo alti, e solo il 13% lo considera ancora una opportunità. , il 66% degli italiani si tiene pronto a una nuova emergenza sanitaria adottando comportamenti di cautela come mettere i soldi da parte ed evitare di contrarre debiti: una strategia difensiva adottata largamente. Anche perché, in un quadro emergenziale in cui gli aiuti dello Stato ci sono stati, ma che il 75,4% degli italiani valuta come insufficienti o giunti in ritardo, per esperienza diretta o indiretta, attraverso familiari e amici, rafforzare le proprie autodifese attraverso i risparmi è la strategia migliore per applicare una resistenza attiva all’emergenza economica e sociale.

A fine 2019 in Italia le persone in povertà assoluta erano 4.593.400, pari al 7,7% della popolazione residente, e sono raddoppiate nell’ultimo decennio: di queste, 1.376.400, pari al 30,0% del totale, sono stranieri (tab. 14). In realtà, il 2019 si era chiuso con un bilancio in positivo, con 447.000 poveri in meno rispetto al 2018, come conseguenza dell’introduzione, a partire dal mese di aprile, del Reddito e della Pensione di cittadinanza, di cui a settembre di quest’anno beneficiavano 1.327.888 famiglie, in cui vivono 3.133.322 individui: di questi, 419.467 sono cittadini stranieri (il 13,4% del totale). Si tratta di valori che evidenziano come questi sussidi hanno avuto difficoltà a raggiungere i poveri veramente poveri, e abbiano piuttosto aiutato persone a rischio di povertà. In ogni caso, per avere un’idea dell’impatto immediato dell’epidemia sulle tasche degli italiani meno fortunati, basti pensare che da marzo a settembre 2020 ci sono 582.485 individui in più che vivono nelle famiglie che percepiscono un sussidio di cittadinanza, in crescita del 22,8% nei mesi considerati.

I dati sul Reddito di cittadinanza evidenziano anche come siano stati i più deboli a pagare di più i costi economici della crisi: infatti, i cittadini stranieri, pur avendo difficoltà ad attingere a una forma di aiuto che per lo straniero richiedente prevede una residenza in Italia di almeno dieci anni, nel periodo marzo-settembre 2020 sono aumentati del 42,7%. Accanto al Reddito di cittadinanza, un altro indicatore della difficoltà in cui si stanno trovando le famiglie e gli individui meno abbienti è rappresentato dal Reddito di emergenza, una misura appositamente introdotta con il Decreto “Rilancio” nel mese di maggio 2020 per aiutare i nuclei familiari
più deboli economicamente, che non avevano diritto ad altre forme di aiuto, e che a luglio contava 697.748 beneficiari, che vivono in 290.072 famiglie. Il tema delle disuguaglianze sociali esistenti nel nostro Paese non è nuovo ed è ben rappresentato dai dati disponibili su redditi, consumi e ricchezza: 40.949 italiani dichiarano un reddito che supera i 300.000 euro l’anno, per una media di 606.210 euro; sono lo 0,1% del totale dei dichiaranti e possiedono il 2,8% del reddito complessivamente dichiarato. Se si considerano poi coloro che dichiarano più di 200.000 euro l’anno, e che hanno un reddito medio dichiarato di quasi 400.000 euro, arriviamo a 98.778 individui, ovvero lo 0,2% del totale dei dichiaranti, che possiedono il
4,4% del reddito complessivamente dichiarato.


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