Pfas, prof Carlo Foresta: “sono dappertutto, occorre intervenire”

768

Quando si parla di Pfas, la maggioranza della popolazione pensa che sia un problema connesso alle aree del Vicentino e del Veronese. In realtà. L’inquinamento generale è diffuso quasi ovunque. Il motivo è che le principali fonti di esposizione per l’essere umano includono, oltre all’acqua potabile, gli alimenti, la migrazione da pellicole e rivestimenti alimentari, tappeti, abbigliamento, polvere, cera, prodotti cosmetici. Dunque, anche l’inquinamento generale, anche se a basse concentrazioni, è molto diffuso e può determinare un accumulo tale da essere alla base di manifestazioni sanitarie associate, come dimostrato da numerosi studi internazionali. La maggior parte degli studi ha infatti considerato popolazioni generali con livelli espositivi di fondo non imputabili a inquinamento industriale. In questi casi, anche livelli espositivi relativamente bassi, soprattutto in fasce di popolazione più sensibili, possono comportare significative alterazioni cliniche. In Europa si stimano costi sanitari fra i 52 e gli 84 miliardi di euro all’anno relativi alle conseguenze dell’inquinamento da Pfas. Per porre attenzione attorno a questi temi il gruppo di ricerca coordinato dal professore ordinario di endocrinologia Carlo Foresta ha organizzato il webinar “Esposizione a Pfas e manifestazioni cliniche: strategie di intervento sanitario”. L’evento, on-line con iscrizione gratuita, è fissato dalle ore 9 alle ore 13 del prossimo venerdì 26 marzo.

Relazioneranno una ventina di studiosi, tra di loro anche Giovanni Rezza, direttore generale della prevenzione del Ministero della salute, e Rosario Rizzuto, rettore dell’Università di Padova. Introdurrà i lavori l’assessore regionale alla Sanità, Manuela Lanzarin.
Le ricerche condotte dall’equipe del professor Foresta hanno permesso di identificare numerosi meccanismi biologici che sottendono le manifestazioni cliniche associate all’esposizione a Pfas, quali ad esempio ridotta fertilità maschile e femminile, ritardo del menarca, ridotta densità ossea, riduzione dei parametri antropometrici e genitali indicativi di un’azione inibente sul testosterone. Sulla base di queste evidenze, la comunità scientifica ha riconosciuto gli effetti dei Pfas come interferenti endocrini e metabolici nell’uomo, promuovendo attività di sensibilizzazione con l’obiettivo di considerare tali sostanze suscettibili di approfondimenti tossicologici, normativi e legislativi.

Il webinar intitolato “Esposizione a PFAS e manifestazioni cliniche: strategie di intervento sanitario” si inserisce all’interno di questo scenario, con lo scopo di informare e sensibilizzare non solo la comunità scientifica e gli operatori sanitari del territorio, ma anche la popolazione stessa. A tal fine, sono previsti gli interventi dei principali esperti nazionali, coinvolti a diversi livelli nelle tematiche correlate all’esposizione umana a queste sostanze.

“Il convegno si prefigge l’obiettivo di tracciare una linea condivisa nel proporre comuni strategie di intervento sanitario e di prevenzione nelle popolazioni a elevato rischio espositivo ai Pfas, conclude il professor Carlo Foresta. “Tuttavia, è utile considerare che l’inquinamento generale a carico dei PFAS, data la loro diffusione, non è facilmente modificabile dal comportamento dei singoli né è possibile immaginare un’abolizione a breve termine di queste sostanze chimiche che sicuramente hanno modificato il nostro stile di vita, visto il loro utilizzo in numerosi prodotti di uso quotidiano. La ricerca chimica per individuare alternative non può basarsi solo su piccole modificazioni di molecole già note, ma deve individuare sostituti la cui attività biologica sia valutata ancor prima della loro immissione nella produzione industriale. In ogni caso, dobbiamo tutti avere la consapevolezza che l’inquinamento generale è un rischio, l’intervento sanitario sarà decisivo nella tutela della salute pubblica”.

SCHEDA DI APPROFONDIMENTO: I RISCHI ALLA SALUTE CAUSATI DAI PFAS
Le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) sono composti utilizzati principalmente per rendere resistenti ai grassi e all’acqua diversi tipi di materiali come tessuti, tappeti, rivestimenti, ecc. Tali composti sono altamente persistenti nell’ambiente e negli organismi. Le principali fonti di assimilazione per la popolazione sono rappresentate dall’assunzione con la dieta (in via diretta attraverso gli alimenti, o in via indiretta attraverso migrazione di queste sostanze dal packaging o dalle stoviglie) e l’acqua potabile.
Le Agenzie Sanitarie Internazionali non hanno ad oggi classificato in maniera conclusiva come certamente o probabilmente associate a PFAS patologie neoplastiche o non neoplastiche, anche se numerose evidenze sperimentali ed epidemiologiche suggeriscono la presenza di possibili effetti sulla salute umana. In particolare, il convegno si focalizzerà su quelle associazioni cliniche, seppur di non primaria rilevanza internazionale tra le manifestazioni più frequentemente osservate globalmente, ma con una comprovata dimostrazione sperimentale di un meccanismo biologico a supporto delle stesse:
Rischio cardiovascolare: i Pfas sono in grado di aumentare l’aggregazione piastrinica; pertanto, considerando anche la riconosciuta associazione con l’aumento di colesterolo, i PFAS sono un plausibile fattore di rischio cardiovascolare. È anche del tutto plausibile -benché ancora da verificare- che i Pfas interagiscano con altri riconosciuti fattori di rischio (ipertensione, obesità, fumo di sigaretta, etc.). Pertanto, i Pfas rappresentano un probabile fattore ambientale di rischio cardiovascolare nelle popolazioni esposte, in cui i soggetti che presentano anche altri fattori di rischio costituirebbero un sottogruppo di popolazione altamente vulnerabile. I dati epidemiologici relativi alla pressione arteriosa suggeriscono che un’alterazione della struttura vascolare, o la disfunzione endoteliale possano essere tra i meccanismi implicati nell’incremento del rischio cardiovascolare nella popolazione esposta a Pfas.

Metabolismo scheletrico: i Pfas alterano l’omeostasi della vitamina D e rappresentano quindi un fattore di rischio per il tessuto osseo in tutte le fasce di età, dall’età evolutiva (fase di crescita) alla post-menopausa e all’ageing maschile, fasi ad alto rischio per l’osteoporosi. Il monitoraggio dello status della vitamina D e della salute del sistema scheletrico è altamente raccomandato nelle popolazioni esposte. Nel contempo, la carenza subclinica di vitamina D (un problema diffuso nelle società occidentali) rappresenta un fattore di suscettibilità agli effetti dell’esposizione a Pfas.

Sistema endocrino-riproduttivo femminile: i Pfas sono un riconosciuto fattore di rischio per gli esiti avversi in gravidanza in particolare per il basso peso alla nascita e per l’aborto spontaneo: tali effetti sono dovuti ad interferenza endocrina ed hanno come bersaglio primario l’endometrio e la placenta. Attenzione va data anche al possibile rischio di pre-eclampsia, associabile ai citati effetti protrombotici dei Pfas.

Inoltre, sulla base delle evidenze internazionali che evidenziano un legame dei PFAS alla membrana degli spermatozoi, e vista la possibilità che nelle tecniche di fecondazione assistita tramite iniezione intracitoplasmatica (ICSI) avvenga una contaminazione da PFAS, si suggerisce la valutazione della concentrazione di PFAS nel liquido seminale di soggetti a rischio e che intendono sottoporsi a fecondazione assistita tramite ICSI.

dove si trovano i Pfas tabella del prof Foresta
dove si trovano i Pfas tabella del prof Foresta