Oscar Farinetti: “la lotta di classe non c’è più”. Ma ci faccia il piacere!

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C’è sempre qualcosa di affascinante quando qualche “paladino” di un capitalismo “cialtrone”, qual è abitualmente quello italiano odierno, tenta di fare la morale e di interpretare la realtà. Questi “paladini”, di solito sono “signori” che accumulano le loro ricchezze sfruttando il lavoro altrui e il territorio. Padroni che ci vogliono spiegare come “gira il mondo” perché, a loro dire, sanno tutto e possono pontificare su ogni cosa. Lo fanno dall’alto della loro ricchezza e del loro apparire, senza aver mai conosciuto (o, se lo hanno fatto a suo tempo, oggi se ne sono dimenticati) le condizioni di chi è costretto a subire la loro modernità fatta di progressiva negazione dei diritti e di sfruttamento di chi lavora.
Lo fanno di fronte a intervistatori compiacenti che non azzardano neppure una contestazione. Si scagliano contro le “ideologie” e lo fanno affermando, proclamando la loro verità e recitando slogan dogmatici cifra della loro ideologia.

Di questa categoria di saccenti fa certamente parte il signor Oscar Farinetti (fondatore di Eataly) sempre schierato con il potente del momento. Se fino a “ieri” era un fan sfegatato del PD di Renzi, oggi i suoi riferimenti stanno cambiando. Probabilmente sta decidendo chi sarà in grado di garantirgli maggiori profitti. In un’intervista di Stefano Feltri su Il Fatto Quotidiano di oggi intitolata “La sinistra deve rassegnarsi: la lotta di classe non c’è più” Farinetti ci spiega il suo “pensiero”.

Ebbene, Farinetti (a destra nela foto a Vicenza con Zonin, De Castro, Moretti e Veltroni) ci fa sapere che il mondo non si divide più tra capitalisti e lavoratori. Afferma che “La rivoluzione tecnologica ha cambiato i rapporti tra gli umani e i vecchi paradigmi sulla divisione in categorie economiche“. Che “È più sensato parlare di categorie di sentimenti (che generano parole e comportamenti), trasversali a quelle economiche“. E a una domanda se il PD abbia rappresentato le priorità dei lavoratori o quelle delle aziende, risponde “Ma veramente lei pensa che le priorità dei lavoratori e delle aziende siano alternative e contrastanti? Non condivido questa visione marxista della lotta tra classi“. Al di là della visione “poetica” delle “categorie di sentimenti”, ecco trasparire il pensiero unico che i ricchi ci hanno ammanito da decenni: siamo tutti sulla stessa barca. Tutti, chi è costretto a remare e chi si gode la crociera grazie alla fatica degli altri. Una frase priva di senso della realtà che vuole farci credere che gli sfruttati non debbano protestare perché anche gli sfruttatori hanno i loro problemi. E che tutti devono lavorare per un fine comune: arricchire i ricchi.

Ma, nelle frasi di Farinetti, ci sono altre cose inquietanti che dimostrano come personaggi di tal fatta (oggi considerati vincenti e “grandi pensatori”) siano in malafede o assolutamente inadeguati data un’evidente ignoranza. Una di queste è l’affermazione “Quando il governo Renzi deliberò 80 euro al mese in aggiunta alle buste paga inferiori ai 1500 euro io, imprenditore, ne fui felice. Non la giudicai una mossa ‘di sinistra’ contro l’impresa“. Ci mancherebbe altro. Le imprese non furono toccate. Gli 80 euro sono un “bonus IRPEF” erogato in busta paga. Un mancato introito per lo Stato. Un costo per la collettività, non certo per le imprese. Ma la saggezza del “guru” Farinetti non si ferma qua. A una domanda su Sergio Marchionne, afferma “non è stato un imprenditore ma un manager. Il suo successo è stato salvare la Fiat che stava fallendo. Avremmo avuto migliaia di nuovi disoccupati, oggi grazie alle sue intuizioni abbiamo più occupati“. Ma lo sa, il signor Farinetti, che anche se la Fiat non è fallita, nel nostro paese ha chiuso stabilimenti e produzioni, cancellando un numero enorme di posti di lavoro tanto da far risultare la sua affermazione sull’aumento di occupazione non solo falsa ma decisamente ridicola?

La lotta di classe e il conflitto capitale-lavoro, signor Farinetti, esistono eccome. Oggi più che mai dal momento che gli sfruttati (una classe vasta che comprende chi vive del proprio lavoro, dipendenti, partite IVA più o meno vere pagate poche centinaia di euro al mese, artigiani e piccoli imprenditori che devono subire le angherie delle grandi imprese, braccianti che devono sottostare alle decisioni di caporali e mafie di ogni tipo, lavoratori in nero …) sono divisi e hanno perso quella coscienza e solidarietà che ha permesso loro, solo qualche decennio fa, di conquistare dignità e diritti che oggi vengono progressivamente cancellati. La lotta di classe è in pieno svolgimento. Solo che la stanno vincendo i padroni. Una categoria, quella dei padroni (cioè di coloro che, come affermò Gaetano Marzotto durante il primo processo Marlane Marzotto, si occupano solo dei loro soldi) alla quale Farinetti appartiene a pieno titolo e che è la principale responsabile del degrado democratico, economico, morale e istituzionale nel quale sta sprofondando il nostro paese.

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Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.