Omicidio a Voghera di un marocchino da parte di un assessore, l’opinione dell’ex magistrato Giovanni Schiavon: come i casi penali diventano politici

Matteo Salvini
Matteo Salvini

Qualsiasi fatto della vita quotidiana, anche il più banale, diventa subito un caso politico se ad esserne coinvolto è una persona che della politica fa parte. Improvvisamente, le vicende, pur se tragicamente normali, non vengono più commentate nella loro prospettiva (solo) penalistica, ma vengono automaticamente trasformate in una dimensione di contrapposizione politica.

Giovanni Schiavon (foto di archivio de Il Corriere del Veneto)
Giovanni Schiavon (foto di archivio de Il Corriere del Veneto)

E’ ciò che recentissimamente è avvenuto a Voghera, dove l’assessore alla Sicurezza di quel Comune, avvocato ed ex poliziotto ha ucciso con un colpo di pistola un uomo trentanovenne di origini marocchine, con il quale era venuto a diverbio. La notizia della vicenda sarebbe finita tra le ultime pagine dei giornali e banalizzata come espressione di ordinaria e quotidiana follia se l’autore dell’omicidio non fosse stato, appunto, un conosciuto uomo di partito e, guarda caso, addetto proprio alla Sicurezza di quel Comune. Subito, senza neppure attendere un minimo di accertamento sulla dinamica dell’ evento, il segretario della Lega, Matteo Salvini, si è avventurato in una serie di perentorie affermazioni, che, ancora una volta, evidenziano una sua modesta capacità di resistere alle continue tentazioni di trasformare le vicende quotidiane in altrettante occasioni di propaganda dei suoi referendum sulla Giustizia.

Non conosco i fatti e non voglio, perciò, azzardare ipotesi: omicidio o eccesso colposo in legittima difesa o legittima difesa tout court? lo accerteranno le indagini disposte dalle Autorità competenti.

Quel che qui merita di essere segnalato è il pressapochismo culturale che tali atteggiamenti trasferiscono, poi, ai cittadini, i quali sono bombardati da continui messaggi paraelettorali, fondati su eventi incerti nella loro stessa fattualità.

Tutto, comprese le vicende più tragiche, viene utilizzato impropriamente come strumento di lotta politica e tende, poi, a ridursi a banali e superficiali slogan di partito. E’ certo verosimile che l’assessore leghista Massimo Adriatici non volesse uccidere l’uomo che, a quanto pare, si era reso responsabile di comportamenti provocatori ed aggressivi; ma non si capisce come si faccia  ad essere così sicuri fin da subito che l’assessore sia, lui stesso esente da responsabilità penali.

Ad esempio, perché mai era andato in giro con la pistola e con il colpo in canna (dalla quale avrebbe potuto, pur sempre, partire accidentalmente una pallottola, come lui stesso ha, poi, affermato essere avvenuto)?

Perchè mai ha ritenuto di affrontare l’antagonista con la pistola in pugno?

Non è certo il caso di ricercare, in questa sede, una ragionevole spiegazione dell’accaduto. Mi è parso, tuttavia, che questa possa essere l’occasione per una breve riflessione sul tema della legittima difesa perché, su esso, alcune forze politiche (come quella rappresentata dall’on. Salvini) avevano premuto per un cambiamento dell’art. 52 del codice penale che prevedesse  una “presunzione di legittima difesa”  per colui che si fosse ritrovato nella condizione di respingere un’introduzione violenta nella propria casa : “senza sicurezza non c’è nessuna libertà”; “la difesa in casa propria è sempre legittima”, dicevano alcuni slogan coniati per le occasioni.

E, dunque, chi usava un’arma per colpire un malintenzionato entratogli in casa  non avrebbe dovuto essere costretto a dimostrare, poi, in giudizio, la proporzione tra offesa e difesa. Ma ora, a seguito dell’evento di Voghera, sembra che la posizione leghista sulla legittima difesa sia cambiata ancora e voglia ricomprendere la legittimità di una giustizia personale con l’uso di armi anche fuori del proprio domicilio e, dunque, anche in spazi pubblici.

Su questo punto bisogna, però essere fin da subito chiari, per evitare il pericolo che dilaghi una concezione distorta della legittima difesa, sul modello  Far West, e che, anche in Italia si diffonda il convincimento che l’uso delle armi sia, comunque e sempre, un diritto del cittadino.

Non è vero che la difesa è, comunque, sempre legittima, come recita il refrain politico in voga. Nessun Paese civile potrebbe rinunciare al principio di proporzionalità tra offesa e difesa, anche se, nel tempo, si è cercato di ridurne il rigore applicativo con l’emanazione di norme dirette ad elevare le condizioni di difesa all’interno delle abitazioni, dove è sicuramente molto più difficile far conto sull’aiuto di altri. Una tale soluzione ha una qualche fondatezza se si considera che, quelle che hanno destato maggiori polemiche nell’opinione pubblica, sono sempre state le sentenze emesse sul tema dell’eccesso colposo di legittima difesa, per l’uso di armi, pur legalmente detenute, in occasione di aggressioni notturne nelle mura domestiche. Diversamente, si verrebbe a legittimare un crescente pericolo dell’uso delle armi che, inevitabilmente, finirebbe non solo per indebolire la stessa sicurezza dei cittadini, ma anche per incrementare i livelli della criminalità. Molto spesso – e anche giustamente – si sono criticate le sentenze di condanna di aggrediti che avevano sparato agli aggressori, sostenendo che un giudice, con il senno del poi, non potrebbe mai capire l’intensità dell’emozione e della paura provate dalla vittima, che può facilmente perdere la testa a causa del panico.

Ma, proprio perché questo è vero e indiscutibile, non pare consentito allargare la previsione della legittimità dell’uso delle armi anche fuori degli stretti ambiti nei quali il legislatore l’ha confinato, cioè anche fuori dalle mura domestiche.