Oikonomia: sulla frugalità, un valore etico e culturale non economico. L’Olanda lo coniuga con… i paradisi fiscali

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È molto interessante dal punto di vista etico ed economico (ce ne occupiamo oggi in Oikonomia, la nuova rubrica di professionisti che si occupano di filosofia e scienze umane e di economisti dal volto umano) l’espressione che si è diffusa negli ultimi giorni per identificare alcuni paesi che nell’ambito delle trattative per il Recovery Fund tendevano ad essere meno generosi nei confronti dell’Italia. Si tratta di una coalizione di paesi, Olanda, Austria, Svezia, Danimarca, definiti nel 2018 dal «Financial Times» “Frugal four[1], ai quali si è aggiunta anche la Finlandia.

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Ma cerchiamo di capire meglio qual è il punto della situazione a livello europeo, per poi avanzare una considerazione di ordine culturale in relazione a quello che è il valore etico della frugalità, che non può non avere dei riflessi nell’economia.

Detto in maniera molto sintetica e grossolana, ma utile per esigenze di chiarezza, l’Unione Europea è costituita da due anime principali, quella dei paesi spendaccioni, chiamati anche PIIGS, con un velato riferimento ai maiali (pigs in inglese), cioè Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna, che tendono ad assorbire le risorse della comunità europea, dopo aver sperperato le proprie, e due superpotenze che sistematicamente cercano di rimpinguare il salvadanaio dell’Unione, non senza ricavare dei vantaggi a livello di leadership.

Mark Rutte, il leader olandese dei frugali
Mark Rutte, il leader olandese dei frugali

Ora, in questo gioco delle parti, con la Gran Bretagna che si è sfilata, dal 2018 i paesi del nord Europa, simili per tradizione culturale e istituzionale con una lunga storia di politica socialdemocratica caratterizzata dall’efficienza capitalistica e da uno stato sociale funzionante, si sono un po’ rotti le scatole della situazione e hanno cominciato a fare la voce grossa. A questi paesi poi si è aggiunta l’Austria, con una storia leggermente diversa, ma intenzionata a primeggiare nel centro Europa e a distinguersi dalla Germania, anche in seguito ad un governo marcatamente nazionalistico.

Ora, per comprendere bene la questione della frugalità e il senso che questo termine assume in relazione ai processi economici e sociali non si può davvero fare a meno di prendere in considerazione L’etica protestante e lo spirito del capitalismo[2] di Max Weber, il quale, non a caso individua proprio nei paesi calvinisti, e l’Olanda è stata storicamente uno dei principali centri di irradiazione del calvinismo, una certa tendenza all’efficienza e allo sviluppo del capitalismo, come conseguenza del radicamento nella mentalità dei soggetti dell’etica protestante.

Max Weber cerca di individuare un discrimine che segni il passaggio dal tradizionalismo economico antico, privo di razionalità, allo spirito del capitalismo moderno e qui vi è un passaggio fondamentale, perché secondo il sociologo tedesco la vera rivoluzione va individuata nell’affermazione di un’etica, di un modello di vita, una condotta improntata alla morigeratezza, alla sobrietà, alla frugalità.

In sostanza, secondo Weber, ciò che ha permesso ai capitalisti moderni di assumere una credibilità indiscutibile è un atteggiamento etico che si presenta con tratti ben distinti da quelli tradizionali di stampo cattolico, improntati, invece, all’edonismo, al mero godimento della vita e dei proventi dell’attività economica.

Nel merito, cioè nell’attribuire la genesi dello spirito capitalistico all’etica protestante, per fare poi del nord Europa un modello di efficienza grazie al valore della frugalità, la tesi di Weber potrebbe essere anche scorretta e questo lo rilevano diversi autori, tra cui l’americano Rodney Stark, il quale nel suo La vittoria della ragione[3] mostra, invece, come il capitalismo nasca in Italia, in particolare nei dintorni di Milano.

Qui, verso il XII secolo, si era costituito un gruppo di laici cattolici, chiamati gli “Umiliati”, provenienti da ambienti ricchi, artigianali, erano uomini colti, spesso banchieri, ma come reazione al lusso e al materialismo dilagante, scelsero la via dell’austerità e della frugalità, anticipando in ciò l’etica calvinista. Solo successivamente, grazie all’indotto del settore tessile, da cui gli Umiliati erano partiti, il tipico ethos capitalistico arrivò nel Nord Europa, trovando ampia diffusione.

È chiaro, in questo come in altri casi di costruzioni arbitrarie della tradizione, che sebbene si possa avanzare l’ipotesi che il ragionamento di Max Weber non regga davanti all’evidenza storica, in realtà la diffusione della sua opera e il successo che lo studioso ha avuto in passato in Europa non ha fatto altro che sostenere una determinata costruzione culturale, cioè quella secondo la quale vi è un divario culturale ed etico incolmabile tra il modo di affrontare la quotidianità da parte dei popoli cattolici meridionali e quelli protestanti nordici.

Ciò che oggi si nasconde dietro l’esibizione del concetto di frugalità, dunque, valore che segna una ulteriore frattura nella compagine dell’Unione europea, ha ben poco di economico e molto di etico, di culturale, giacché si vuole rimarcare, con i toni della ramanzina paternalistica, il fatto che la crisi economica e dei sistemi statali dei paesi cattolici, in particolare meridionali, è imputabile all’estraneità di questi popoli con un ethos ben definito, improntato alla morigeratezza piuttosto che allo sperpero, all’ostentazione della ricchezza, al godimento dei piaceri, per non parlare dei vizi congeniti che si attribuiscono a noialtri, come la corruzione, da cui difficilmente riusciremo a prendere le distanze, stando a ciò che i nordici pensano di noi.

Fin qui, dunque, i paesi frugali possono anche esibire il pedigree in quanto ad eticità nella gestione economica interna, ma che dire degli scompensi economici e sociali generati dall’esistenza dei cosiddetti paradisi fiscali, tra cui primeggia proprio l’Olanda?

[1] https://www.ft.com/content/438b7ff4-1725-11e8-9376-4a6390addb44

[2] M. Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, RCS, Milano 1998.

[3] R. Stark, La vittoria della ragione, Lindau, Torino 2005.


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Michele Lucivero
Laureato in Filosofia presso l’Università degli Studi di Bari e poi in Forme e Storia dei Saperi Filosofici presso l’Università degli Studi del Salento, dove ha conseguito anche il Dottorato di Ricerca in Etica e Antropologia. Storia e Fondazione. Ha conseguito anche il Diploma di Scienze Religiose presso l’Istituto “Italo Mancini” dell’Università degli Studi di Urbino. Abilitato all’insegnamento di Filosofia e Storia e specializzato nella Didattica per le Attività di Sostegno presso l’Università di Padova, attualmente è docente di ruolo nella scuola pubblica. Dirige con Michele Di Cintio la collana Pratiche Didattiche e Percorsi Interculturali presso la casa editrice Aracne di Roma, all’interno della quale ha pubblicato e curato diversi volumi di taglio didattico su argomenti storici, filosofici, antropologici e sociologici. Dopo aver trascorso gli ultimi dieci anni a respirare il profumo del muschio montano vicentino dal 2018 è tornato a bearsi dell’aroma della salsedine pugliese. Giornalista pubblicista da giugno 2021