Nasce il partito di Matteo, ma nella base del Nord il 30% lascia la tessera

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Salvini, Zaia e Giorgetti
Salvini, Zaia e Giorgetti

Domani muore la Lega di Bossi. In quella nuova la “questione settentrionale” scompare ed entra la destra del Sud. E da Zaia a Giorgetti il malessere cresce
DI CARMELO LOPAPA E CLAUDIO TITO su Repubblica del 02 agosto

Domani, proprio domani (oggi, n.d.r.) muore la Lega Nord. Non si tratta di un paradosso, ma di una data ufficiale. Perché è il giorno in cui si chiude il tesseramento del nuovo partito di Matteo Salvini: Lega per Salvini Premier. Da domani gli iscritti non saranno più gli stessi. Il nord scompare, come già annunciato in una sorta di congresso fantasma svoltosi qualche mese fa in clandestinità. Ma soprattutto svaniscono i vecchi tesserati. Evapora la figura del sostenitore tradizionale, quello legato alla “questione settentrionale”. Quello che organizzava i gazebo e andava a Pontida come a un santuario. Quello che il “fondatore” Umberto Bossi chiamava il “militante ignoto”.

Ma l’appuntamento che era stato organizzato per celebrare la leadership del segretario leghista e per incoronarlo sovrano di tutte le Leghe rischia di trasformarsi nel più classico dei contrappassi. Perché sotto il manto lucidato del salvinismo inizia a covare la cenere della rivolta. Una ribellione dal basso e non dall’alto. Animata dalla base e non dai vertici dirigenziali. Una situazione del tutto anomala per un movimento che storicamente viveva nella totale identificazione del “capo” con gli iscritti.

I numeri ufficiali del tesseramento sono stati comunicati fino ad ora con un certo entusiasmo. A febbraio già in oltre 50 mila avevano versato i dieci euro per iscriversi al partito nuovo e mantenere gratuitamente la tessera del partito “vecchio”. Nei prossimi giorni ci dovrebbe essere il risultato definitivo. Da tenere presente che secondo gli ultimi dati pubblicati nel 2017 gli iscritti erano circa 80 mila: 19 mila cosiddetti “militanti” e 60 mila “sostenitori”. Quindi non una grande differenza rispetto alla cifra annunciata prima del lockdown.

Ma quel che non dice la propaganda è che una fetta importante dei militanti storici non ha rinnovato l’iscrizione. I responsabili dell’organizzazione di un tempo parlano di almeno un terzo. Almeno il 30 per cento, dunque, rinuncia. Molti di loro si definiscono bossiani, maroniani. Ma non salviniani. E si allontanano proprio perché manca la parola per loro “magica”: Nord. L’indipendenza, il federalismo, l’Autonomia era la ragione sociale della forza politica ideata da Bossi. Senza quelle prospettive – giuste o sbagliate che fossero -, si assiste ad una mutazione genetica della Lega. Il “padano” che impegnava le vacanze nelle feste di partito si sente “disimpegnato” dal personalismo sovranista.

Non è un caso che pochi mesi fa, prima che venisse ricoverato in ospedale, il Senatur avesse presentato al segretario del Carroccio una sola preghiera: “Non chiudete la Lega Nord”. Salvini lo aveva rassicurato. E formalmente ha rispettato l’impegno. La Lega nord sopravvive, si pratica una specie di doppio tesseramento che la tiene in vita. Di fatto, però, è un guscio vuoto. Una “bad company” cui lasciare soprattutto in debito quei 49 milioni ancora da restituire.

Nonostante il segretario della Lega lombarda, Paolo Grimoldi, getti acqua sul fuoco annunciando che dalle sue parti gli iscritti “sono quintuplicati” sebbene non sia in grado di avere i dati sulla permanenza dei vecchi iscritti, che qualcosa non funzioni proprio bene lo si capisce da altri due elementi oggettivi. Il primo: la sede del nuovo partito non è più Via Bellerio, ma Via Privata delle Stelle. Secondo molti, una furbizia tattico-giudiziaria.

Il secondo è ancora più concreto: Salvini punta a compensare l’esodo nordista con i nuovi ingressi, anche “sudisti”. La sua Lega Nazionale apre i battenti alla destra da Napoli a Palermo. Eppure, se si prende l’ultimo bilancio ufficiale del Carroccio si capisce che l’operazione non sarà facile. Che la militanza settentrionale è ancora assolutamente prevalente, a partire dal piano economico. I contribuenti che hanno versato nella dichiarazione dei redditi il 2xmille alla Lega sono stati 63.689 per un totale di 753.093 euro. La distribuzione geografica è illuminante: i finanziatori più numerosi sono i lombardi, circa 24 mila. Seguiti dai veneti, circa 20 mila. Terzi sul podio i piemontesi: 5 mila. Le regioni del sud sono, come prevedibile, i fanalini di coda. Ma molto in coda. I sardi sono più attivi ma non arrivano a trecento e i siciliani sono appena 266. Numeri che hanno ancora più irritato i “militanti ignoti” del nord.

La rivolta della base nordista, però, non può essere spiegata solamente con l’abbandono delle idee originarie. In politica e soprattutto nelle leadership conta il consenso e i risultati. Ecco il punto: dal Papeete 2019 ad oggi, il malumore degli iscritti si associa alle critiche mai esplicite ma molto presenti di una parte importante della classe dirigente. Da Giancarlo Giorgetti a Luca Zaia fino all’”esiliato” Roberto Maroni. Il “capo” la scorsa estate ha provocato la crisi di governo promettendo il voto anticipato. Poi ha garantito di espugnare la rossa Emilia Romagna. Quindi ha cavalcato il sovranismo antieuropeista durante l’epidemia Covid assicurando che l’Ue non avrebbe dato un centesimo all’Italia. Ha chiesto di chiudere tutte le regioni e poco dopo di aprirle come ha fatto il brasiliano Bolsonaro. Mentre i suoi governatori emettevano disposizioni per l’uso del mascherina, lui se la levava.

Una serie di fattori che hanno indispettito. E così succede che Giancarlo Giorgetti ha deciso di disertare la festa di partito a Cervia, in Romagna (per evitare una frattura ufficiale si limiterà a un saluto in video), subito sostituito dal più fedele Alberto Bagnai. “Dovrei dire come la penso su tante cose. Per il momento – spiega invocando il silenzio – non è il caso. Se mi cercano, dite che sono in vacanza su Marte”. I rapporti, del resto, sono tesi dal 2012 quando Giorgetti era segretario della Lega Lombarda e Salvini nella sostanza lo ha cacciato.

Anche il governatore del Veneto è indeciso sul da farsi. Lì, al Papeete, proprio non vorrebbe andarci. È in campagna elettorale per la Regione e nella gestione del Coronavirus è stato sistematicamente smentito dal suo segretario. Uno dei suoi più stretti collaboratori di Venezia ammette: “Luca è fuori dalla grazia di Dio. In particolare per la tesi negazionista di Matteo”. Alla fine, però, il “Doge” assesterà un colpo ma non lo affonderà. Un anno fa, ad esempio, durante la Festa del cinema disse apertamente e con una punta di acredine che “Matteo aveva sbagliato tutti i tempi della crisi di governo”. Ma non andò oltre. Chi lo conosce bene interpreta le sue mosse senza prevedere strappi: “Luca è un leninista, fa quel che gli dice il partito. Nel 2010 era ministro dell’Agricoltura, avrebbe voluto fare il commissario europeo ma gli hanno detto che doveva andare in Regione e ci è andato”.

Resta il fatto che Zaia viene vissuto da Salvini come un “competitor”. Il Governatore lo sa. Se ne è accorto anche di recente constatando che nell’agenda del leader allo stato non c’è nemmeno un tappa in Veneto in vista del voto del 21 settembre.