Modello “tedesco” per il fisco: Il Fatto: via deduzioni & C., aliquota “continua”. Guadagni alti fino a 50mila euro annui, ci perde chi sta oltre i 72mila euro

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Il fisco da riformare
Il fisco da riformare

Calcolare al centesimo le imposte da pagare con un click e fare la denuncia dei redditi in pochi secondi con una App, grazie a un sistema di tassazione equo e a prova di evasione. Rispetto al ginepraio di norme in cui i contribuenti italiani e un esercito di consulenti sono costretti oggi a districarsi per adempiere agli obblighi fiscali, per altro con scarsi risultati per l’Erario, sembra un sogno molto difficile da realizzare. Ma pare che al ministero dell’Economia stiano cominciando a crederci veramente, confortati dalle analisi dei principali centri studi in materia fiscale che ruotano nell’area di governo. E che confermano: i tedeschi lo fanno e con qualche aggiustamento può funzionare anche da noi.

“Per il 2021 lavoriamo sulla riduzione delle tasse, prevedendo il calo dell’Irpef e apprezzo il modello tedesco, progressivo e con aliquota continua”, conferma a un quotidiano il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Anche se aggiunge subito che “niente è deciso”. La cautela del politico è d’obbligo, visto che all’interno della maggioranza sono ancora in molti i sostenitori di un semplice accorpamento o di una riduzione del livello delle attuali aliquote, con l’obiettivo minimale di ridurre la pressione tributaria sulla fascia media della piramide dei contribuenti, quella che risulta la più tartassata. Tuttavia il fascino esercitato sui cultori della materia dalla semplicità di applicazione e dalla concretezza dei risultati raggiunti dalla macchina teutonica ha messo in movimento da tempo intorno ai tavoli del Mef esperti e simulazioni.

L’algoritmo. Un sistema che segue i redditi, l’anti-flat

Il segreto è tutto nella messa a punto di un piccolo algoritmo che serve a calcolare in maniera puntuale, contribuente per contribuente, l’imposta dovuta, moltiplicando l’aliquota media per il reddito imponibile. Le aliquote partono praticamente da zero e crescono linearmente per piccoli incrementi percentuali costanti del reddito. La funzione continua applicata è analoga a una struttura a scaglioni con numerose aliquote, una dozzina o più, e costituisce un’alternativa radicale alle tendenze che propongono al contrario riduzioni del numero di scaglioni, fino ad arrivare alla flat tax.

Il vantaggio più evidente, dal punto di vista dell’equità, è che non vi sarebbe più la grande distanza di trattamento tra contribuenti che ricadono per pochi euro in uno scaglione di reddito o nel successivo come nel sistema attuale. Un meccanismo che spinge in molti casi a dichiarare quanto basta per evitare salti di aliquote. In alcune simulazioni, che non tengono conto della no tax area (redditi annuali fino a 8.174 euro quest’anno), a mille euro di reddito l’aliquota media ammonterebbe all’1% per raggiungere il 38,7% a 100mila.

Ipotesi: L’assegno al posto delle “tax expenditures”

Il mix di detrazioni e deduzioni è l’altro grande fattore decisivo, politico ed economico, che determina la pressione fiscale su ogni singolo contribuente. Il ministero sta studiando un riordino e una razionalizzazione delle cosiddette “tax expenditures”, le centinaia di agevolazioni fiscali che vengono spesso concesse per motivi di scambio elettorale ma che aprono una voragine nelle entrate dello Stato. È allo studio l’idea di accorpare le risorse e sostituire al meccanismo delle detrazioni fiscali i trasferimenti diretti in denaro, come l’assegno unico per le famiglie. In questo modo godrebbero totalmente del sostegno economico dello Stato anche gli incapienti (i contribuenti che non hanno imposte sufficienti da compensare con le detrazioni e le deduzioni) e si renderebbe il sistema fiscale neutro rispetto all’assistenza sociale. Rimangono in piedi in tutte le consuete detrazioni principali per lavoro dipendente, autonomo e pensionati.

Le proposte di Nens e Astrid: usare ancora le detrazioni

In un’elaborazione del Nens, il centro studi presieduto dall’ex ministro Vincenzo Visco, accanto alla funzione continua si propone una detrazione fissa rimborsabile per i lavoratori dipendenti di 1.800 euro e per i pensionati di 800 che consente di elevare da 8.100 a 8.300 il limite dell’imposta nulla. Successivamente fino a 75mila euro di reddito vi sarebbero guadagni per i pensionati che arriverebbero a superare i mille euro; dopo i 75.000 cominciano delle perdite ma con percentuali molto limitate. Per quanto riguarda gli autonomi (una volta che siano rientrati tutti nell’imposta personale), una detrazione di 500 euro consentirebbe di estendere il limite dell’imposta nulla da 4.800 a 6.500. Fino a oltre 60mila euro i guadagni arriverebbero a oltre i 700 euro. Nell’elaborazione del Nens si propone una stessa struttura di aliquote per tutti e differenziazione per detrazioni.

Nella proposta della fondazione Astrid, presieduta da Franco Bassanini, si formula invece un sistema a tre funzioni per dipendenti, pensionati e autonomi. Lo scopo è di sgombrare dal tavolo il sistema delle detrazioni che sono oggetto di una continua contrattazione con le organizzazioni di categoria. Ma anche la soluzione delle tre diverse funzioni non sembra risolvere il problema di eliminare le occasioni di controversia. Infatti tra le categorie si prevedono coefficienti diversi e soprattutto diverse soglie d’inizio della tassazione. Insomma, per una riforma funzionale e condivisa serve ancora confronto.

La simulazione Lef: la tabella

Il fisco oggi e la riforma tedesca
Il fisco oggi e la riforma tedesca

A fornire un quadro estremamente positivo dei possibili effettivi dell’applicazione della funzione continua delle aliquote medie alla struttura dell’Irpef arrivano le tabelle elaborate dal centro studi di Lef, l’associazione per l’equità e la legalità fiscale. I presupposti su cui sono basati i calcoli è un’esenzione totale fino a 8.145 euro di reddito e un’aliquota progressiva a partire dal 15% fino al 41% in corrispondenza di un reddito di 80mila euro. Se si mettono a confronto l’imposta calcolata col vecchio e il nuovo sistema emerge un risparmio tra i 1.873 e i 2.513 euro per i redditi compresi tra gli 8.145 euro e i 20mila euro. La riduzione maggiore dell’imposta lorda si ha per i redditi medi che, non godendo appieno delle agevolazioni sono i più svantaggiati, mentre per i redditi medio-alti l’inversione della curva dei risparmi scatta a 72.500 euro, con una perdita di 244 euro che si stabilizza a 781 fino a 350mila euro di imponibile.

L’incasso dell’imposta lorda dichiarata con l’aliquota progressiva prevista dalla proposta Lef è stimabile attorno ai 146 miliardi. Si avrebbe, pertanto, una riduzione di quella attualmente dichiarata di 74 miliardi. Tuttavia a seguito dell’eccezionale numero di detrazioni e crediti esistenti – fanno notare i ricercatori di Lef – l’imposta netta, quella che effettivamente paga il contribuente con le attuali regole dell’Irpef, risulta pari a 145 miliardi, tenendo conto anche delle ultime agevolazioni concesse con l’ultima finanziaria.

“Questi valori – si legge nello studio firmato da Lelio Violetti – mostrano che la strada dell’aliquota progressiva può esser seguita non solo per ridurre in modo equo e razionale il prelievo dell’imposta personale ma è compatibile finanziariamente con l’esigenza di ridurre drasticamente le agevolazioni al fine di semplificare il calcolo dell’imposta”.

di 

L’Irpef ha 50 anni e da tempo non è più “progressiva”

Paga solo il ceto medio. I bonus e una giungla di sconti fiscali rendono il sistema ingiusto e oscuro

di Lu.Ce.

A 47 anni dal varo (fu istituita nell ’ottobre del 1973 da un governo Rumor durato poi in tutto 8 mesi) l’Irpef mostra tutte le sue rughe. Sotto i colpi di centinaia di sconti e deroghe a beneficio di intere categorie – ma a volte anche di pochi contribuenti “eccellenti” – e di un sistema di controlli che lascia a briglia sciolta uno dei più imponenti fenomeni di evasione di massa dell’Occidente, l’Imposta sui redditi delle persone fisiche (Irpef, appunto) è ormai molto lontana dal soddisfare i principi di progressività ed equità dettati dalla Costituzione. L’ultimo studio in materia di politica fiscale pubblicato dalla Uil nei giorni scorsi delinea la cartina di un’Italia spaccata a metà: non solo tra i vari “nord ”e i tanti “sud ”sociali ed economici, ma anche tra chi paga tutto senza avere scampo e chi non paga, o paga molto poco.

LE ENTRATE ERARIALI ammontavano nel2018 a 463 miliardi e 775 milioni di euro: il 40% del gettito assicurato dall’Irpef, il 29%dall ’Iva sui consumi e il 7% dall’Ires, l’imposta sui redditi delle società. I contribuenti Irpef sono al 97,7% pensionati e lavoratori dipendenti. Nell’audizione sul Def2020 davanti alle commissioni Bilancio del Parlamento, la Corte dei Conti segnala al capitolo fisco “il susseguirsi di interventi frammentari che hanno introdotto regimi sostitutivi, deroghe ed eccezioni, agevolazioni delle quali non si conosce esattamente neppure il relativo costo in termini di mancanza di gettito”. Una valutazione attendibile viene dall’Ufficio valutazione d’impatto del Senato. Nel 2016 sono state censite 610 misure agevolative diverse, tra detrazioni e deduzioni, con una perdita finanziaria per lo Stato quantificata in 76,5 miliardi. Ma sul 67,5% delle cosiddette spese erariali non sono disponibili informazioni complete. E da allora la situazione si è aggravata e, se possibile, ulteriormente complicata. Prima il bonus Renzi, poi le leggi di Bilancio2019 e 2020 che hanno confermato, seppure introducendo nuovi paletti, l’applicazione di una “flat tax” con aliquota Irpef al 15%per le partite Iva che fatturano fino a 65milaeuro l’anno. Ma anche la politica dei condoni ha contribuito a indebolire le gambe su cui poggia il finanziamento di istruzione, sanità, sicurezza, welfare e servizi. Sempre secondo uno studio della Corte dei Conti, le cartelle esattoriali non pagate ammontano a 954,7 miliardi di euro a fine 2019, ma soltanto 79,6 miliardi hanno ancora una qualche probabilità di essere incassati dallo Stato. Tra il 2008 e il 2019, a fronte di 302,9 miliardi di imposte da riscuotere coattivamente per iscrizioni a ruolo superiori a 100 mila euro, l’incasso è stato di 8,2 miliardi: il 2,7%.

IL RISULTATO è che dell’imposta progressiva delineata dalla riforma Cosciani quasi cinquant’anni fa rimane solo il nome. L’apporto del lavoro autonomo è del tutto residuale, i redditi da patrimonio sono quasi totalmente usciti dall’Irpef e il tutto viene tassato con aliquote uniche. “Per quanto riguarda i redditi rimasti in Irpef –sottolinea Ruggero Paladini del centro studi Nens –la situazione si presenta confusa al punto di poter parlare di un sistema diversificato a seconda della tipologia di lavoro e della struttura familiare. Capire quale sia l’aliquota media, per non parlare di quella marginale, diventa problematico anche nei casi più semplici. Una cosa è certa, a essere tartassato maggiormente è il ceto medio, o almeno quello che, volente o nolente, paga le tasse. Dai28mila euro di imponibile la progressività dell’Irpef si impenna per scendere dopo i55mila. I redditi compresi fra 35mila e50mila euro, dove si colloca il maggior numero di contribuenti, subiscono un’aliquota media effettiva elevatissima, oltre il 24%. E a questa aliquota vanno aggiunte quelle delle addizionali applicate da Regioni e Comuni sugli stessi imponibili”.