Mario Rigoni Stern a dieci anni dalla sua morte

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E sono le api – ci scrive Irma Lovato Serena – in questa strana stagione che non sa essere né primavera né estate, a parlarmi di Mario: gironzolano sui fiori che sto curando con fare malinconico e alla ricerca del loro maestro e amico. Mario aveva una predilezione ed un amore senza confini per questi piccoli e preziosi insetti; quando ne parlava trasmetteva, oltre alle sue grandi conoscenze a riguardo, anche quella passione sconfinata che solo un grande cuore può comunicare. 


Poteva passare ore a parlarne, senza stancarsi e senza far stancare gli interlocutori; egli aveva mantenuto nel tempo quella grazia e quell’ estasi tipica della fanciullezza, ove ogni gioia è unica e ove ogni gioia altro non è che un volo nel cielo nel presente: basta distendere le ali e fidarsi della Vita.
Sono trascorsi dieci anni dalla morte di Mario Rigoni Sten e, per certi versi, mi appare che la vita abbia rallentato il suo fluire: è venuto a mancare un grande scrittore e un grande uomo presso il quale spesso ho trovato accoglienza e ristoro. E anche risposte.
La passione per la penna e per la scrittura ci hanno avvicinati, come pure gli eventi della guerra: sempre piccola mi vedevo al suo cospetto ma sempre grande e dolce la sua accoglienza.
Di certo piccola e disordinata la mia penna, restia alle regole e alle penne rosse del mio Prof. Sergio, permalosa quando lui le faceva notare errori clamorose uscite di tema; ma lei era ed è così: strumento incontrollabile, affannata nel seguire i pensieri spesso smarrisce la strada principale per inoltrarsi in lunghi e fantastici sentieri poco frequentati.
A suo tempo mi era stato di consolazione apprendere da Mario che anche lui, quando frequentava la scuola, spesso andava fuori tema, che spaziava nel mondo delle parole lasciandosi trasportare da esse.
Ma un giorno non ha più avuto bisogno di volare con la fantasia perchè ciò che stava vivendo era un tema che non lasciava altre possibilità di interpretazione; era la guerra: morte, violenza, fame, freddo e ingiustizie. La sofferenza si mostrava a lui con tutte le sue sfaccettature.
E la sua penna ha iniziato ad arrancare, a farsi più lenta perchè descrivere quelle esperienze era ancor peggio dell’ averle vissute: il segno che lascia sul foglio è una profonda ferita che dal suo cuore passa alla collettività.
Non sempre è certo se questa sua testimonianza è bene o male: sempre si interroga Mario.
Ma il foglio è un terreno vergine dove ogni parola diventa seme per poter esprimere e raccontare nel tempo gli eventi vissuti, e dal momento in cui i semi vengono posti nella terra non si possono più riprendere per riportarli nel granaio: il loro futuro non è sotto un tetto.
Seme che non muore per dar vita ad una pianta, ma seme che si trasforma ed esprime la sua forza, energia e vitalità attraverso la pianta. Così le parole, come i semi, hanno al loro interno una forte energia che ci fa comprendere ciò che lo scrittore vuole trasmetterci.
Ma Mario Rigoni Stern non è il contadino che pianta quei semi e neppure la pioggia che li disseta; egli è molto di più: è molto più vicino a loro. Egli li accoglie dentro di sé, li difende dalle intemperie, gli dà nutrimento, li aiuta a crescere e ad esprimersi nella maniera migliore.
Mario è la terra: materiale semplice ed essenziale; 
Terra che soffre quando ricorda la scomparsa di Levi, terra che si emoziona e che prende forza dal sorriso una bimba. Terra che piange per le ingiustizie che avvengono sopra di essa, verso le quali assiste con impotenza. Terra molto socievole che si rattrista nel constatare che l’ umanità sta diventando sempre più individualista. Terra che vorrebbe far comprendere all’ uomo che la natura ha una sua anima ma che è anche al servizio dell’ uomo. Terra che è diventata famosa per aver raccontato la vita, le gioie e le lacrime delle persone semplici. 
Terra che ha una coscienza alla quale spesso guarda, consapevole che solo ad essa un giorno dovrà rendere conto della sua condotta.
Terra che non può essere separata dal suo seme.
Terra che vive oltre la morte fisica, le cui impronte affiancano le nostre, nel nostro andare.
Terra che non può morire: se la facciamo vivere nel nostro agire e nel nostro pensare quotidiano.