Mafia in Veneto. L’ombra della Camorra sul Veneto orientale. Sostituzione tra mala del Brenta e clan dei Casalesi oppure un’alleanza?

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Mafia in Veneto. Camorra ad Eraclea, Finanza e Polizia davanti al Comune
Camorra ad Eraclea, Finanza e Polizia davanti al Comune

La camorra, la mafia campana, è diventata negli ultimi tempi la più spettacolarizzata. Se per decenni è stata considerata una realtà esistente ma per nulla percepita al di fuori della regione d’origine, la faida di Scampia e la pubblicazione di “Gomorra” tra il 2003 ed il 2006 hanno dato una spolverata decisa alla patina di polvere che l’aveva ricoperta con il tempo.

Oggi tutti sanno che esiste, film e serie tv di successo sono basati sulla sua attività criminale. Ma non è comunque analizzata quanto dovrebbe essere, soprattutto riguardo la sua influenza nelle zone come la parte orientale della nostra regione, dove una delle sue piante peggiori parrebbe aver messo radici.

Quando si parla di Camorra, bisogna in realtà fare una distinzione prima con le altre due mafie (Cosa Nostra e ‘Ndrangheta) che, con le debite differenze, sono ambedue organizzate in “Cupole” e con ramificazioni internazionali, legatissime ai concetti di sangue, inteso come legame di parentela, ed alla famiglia unita da questo; al contrario, la Camorra non ha mai avuto (con l’eccezione di Raffaele Cutolo) un’organizzazione unica e gerarchica dopo il diciannovesimo secolo.

Occorre poi fare un’ulteriore distinzione tra quella napoletana, diciamo “anarchica” e strutturata in clan di quartiere, e quella “di campagna”, fuori Napoli e nelle altre province, più simile alle strutture mafiose classiche anche nella mentalità.

Una differenza non da poco: le organizzazioni dei clan napoletani hanno dato vita oramai ad una serie di piccoli gruppi che sono più simili alle gang di strada degli USA. Mentre i clan esterni a Napoli, con la loro attitudine mafiosa propriamente detta, hanno intessuto rapporti con i politici, gli imprenditori, i rami disonesti dello Stato.

Tra i clan campani ne esistono due, molto speciali, che in passato hanno avuto uno scontro sanguinoso quando i secondi si sono “scissi” dai primi: i Nuvoletta di Marano ed i “Casalesi”, che prendono il nome da Casal di Principe. Questi due clan sono, o almeno erano, “Cosa Nostra Campana”. Affiliati e legati a Cosa Nostra ma, in via eccezionale, al di fuori della Sicilia.

E sarebbero i Casalesi, imprenditorialmente e criminalmente tesi all’espansione senza limiti, ad aver messo gli occhi e le mani sul Veneto orientale.

Ne avevamo già parlato in un precedente articolo del possibile interesse verso la nostra regione da parte di elementi vicini a questo particolare clan.

I primi incontri tra il mondo veneto ed i Casalesi in realtà avvengono a Modena, peraltro dopo che la Mala del Brenta aveva cacciato dalla provincia la Nuova Camorra Organizzata di Cutolo. Le bische modenesi erano in mano a Felice Maniero, ma non tutte: alcune facevano riferimento a Giuseppe Caterino, membro del Clan dei Casalesi in soggiorno obbligato. Che, in seguito ad una serie di problematiche (era in corso una  guerra “civile” interna ai Casalesi), chiuse un accordo con la Mala del Brenta che garantì protezione e suddivisione degli utili. La Mala, forse, dall’accordo guadagnò l’esclusiva dello spaccio interno a tutte le bische.

L’operazione “At last” dell’inizio del 2019 ha portato alla scoperta di un gruppo, stando agli inquirenti, legato al Clan dei Casalesi ad Eraclea, guidato da Luciano Donadio come boss e con Christian Sgnaolin come “mente economica” dell’associazione. Non solo: il sindaco di Eraclea, Mirco Mestre, uscito vittorioso per appena 81 voti dal confronto con lo sfidante nel 2016, è stato arrestato con l’accusa di voto di scambio, anche se Sgnaolin stesso pare aver alleggerito la sua posizione, dichiarando in sede processuale che Mestre altri non fosse che una “testa di legno” del vicesindaco Graziano Teso, già sindaco nel 2006 e legato a Donadio, il quale ai tempi gli avrebbe pure finanziato la campagna elettorale.

Il processo sta vedendo svolgersi una vera battaglia tra i pubblici ministeri e gli avvocati difensori: questi ultimi hanno richiesto di portare come testi tutti i prefetti di Venezia dal 1997 ad oggi, compreso il ministro Lamorgese in virtù del suo passato ruolo, per chiedere se avessero mai avuto spunti o segnalazioni per la Camorra ad Eraclea. Persino il presidente della regione Veneto Luca Zaia, che dovrebbe spiegare come Donadio avrebbe danneggiato l’immagine della regione (costituitasi parte civile nel processo).

Attendendo l’esito finale, è intrigante osservare come questo ipotetico gruppo fosse formato da un ramo campano, ovvero Donadio e i suoi, ed uno veneto, cioè Sgnaolin e vari altri imprenditori compiacenti. Sgnaolin al momento dice che l’arresto dell’anno scorso è stato una liberazione: da tempo avrebbe voluto uscire dal giro, ma minacce ai familiari e ritorsioni fisiche su di lui avrebbero consigliato di non seguire questa idea. Attualmente è un pentito.

Questa storia comunque, oltre al discorso dell’infiltrazione camorristica in Veneto, è interessante per un altro aspetto: la possibile persistenza di sacche della vecchia Mala del Brenta ancora oggi.

Leggendo Il Bo Live possiamo notare due cose interessanti: la prima è che l’organizzazione camorrista Donadio si sarebbe insediata almeno dalla fine degli anni ’90; la seconda è che ci sarebbe stato un “accordo” per il rilevamento del territorio direttamente dagli ultimi esponenti della vecchia mafia veneta autoctona. Ma non si specifica quale fine avrebbero fatto i veneti successivamente a questo accordo.

In parecchi hanno sostenuto che, dopo il pentimento di Maniero e gli arresti conseguenti, nulla di simile alla Mala del Brenta potesse risorgere o nascere. Troppa “concorrenza”, troppo controllo del territorio, in mano ora ad altre organizzazioni, da riprendere.

Eppure, come veniva sottolineato in Mafia in Veneto. Esiste ancora la Mala del Brenta ? Maniero negli ultimi anni temeva ritorsioni da parte del gruppo dei “Mestrini” (ex federati nella Mala) che avrebbero spostato tra Mestre e Venezia il centro della gestione criminale regionale autoctona.

Quindi una organizzazione erede diretta della Mala sarebbe, secondo questa ipotesi, ancora attiva. Ovviamente i personaggi tirati in ballo da Felicetto hanno negato.

In un altro articolo, su antimafiaduemila possiamo vedere che viene citata la vecchia “Banda Maritan”, altro gruppo “federato” nella Mala del Brenta. E si parla anche di un possibile, per quanto non dimostrato, accordo tra due organizzazioni, quella originaria della zona, composta dal Clan Maritan, e quella trapiantata, del ramo Casalese.

Un patto che vedrebbe i campani imporsi nella gestione degli affari riguardanti estorsione, usura, riciclaggio mentre i veneti manterrebbero lo spaccio di droga, ma forse dietro pagamento di una “tassa” al clan trapiantato.

Dunque non ci sarebbe stato un semplice “rilevamento” del territorio, bensì un accordo con spartizione degli introiti e degli affari.

Il “regno” in mano al presunto Clan Donadio sarebbe dunque posto con il suo centro ad Eraclea, ampliandosi poi a San Donà, Caorle e Jesolo. Grosso modo i confini della zona in mano alla vecchia Banda Maritan.

Si sa, nell’ ambiente criminale, che quando si entra in un territorio ci si può trasferire e vivere per anni fino quasi a diventare parte di quella terra come chi ci è nato. Ma essere “come” non vuol dire esserci nato. Una differenza sostanziale, che porta sempre le organizzazioni originarie, anche se più deboli militarmente ed economicamente, ad essere comunque avvantaggiate sotto molteplici aspetti in caso di uno scontro aperto, dagli esiti non per forza già scritti.

La mafia non è altro che business. E negli affari è meglio giungere ad accordi piuttosto che rischiare perdite economiche per farsi la guerra.

E la Mala del Brenta, quindi? E’ veramente scomparsa del tutto?


Qui gli articoli della serie Mafia in Veneto