Mafia in Veneto, l’imprenditoria ed il malaffare: i casi Silvano Campagnaro (Regris), Franco Caccaro (Spa) e Adriano Biasion (Aracri)

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Direzione investigativa nazionale antimafia
Direzione investigativa nazionale antimafia

Nel 1993 l’inchiesta Versilia mostra per la prima volta come le mafie originarie del Sud siano riuscite ad infiltrarsi nel territorio Veneto colonizzando direttamente parte del tessuto produttivo della regione. Il forno “Regris” (fonte "Mafia a Nord Est", dei giornalisti L. De Francisco, U. Dinello, G. Rossi), in provincia di Treviso, si scopre essere un’azienda a cui intestare migliaia di ordini d’acquisto senza mai pagarli, per poi guadagnare dalla merce rivenduta sottocosto, tanto mai è stata né mai sarà pagata, o distribuire la stessa tra imprese ed attività legate ai clan. Insomma Regris è una cartiera al contrario, non emette fattura false, ma ordini le cui fatture che non paga...

La storia è semplice: il proprietario del forno, Silvano Campagnaro, ha un’idea per un nuovo prodotto, ma perlopiù a causa di scarsa fiducia dei soci e delle banche (economicamente motivata), non ha i fondi per trasformarla in realtà stabile. Si rivolge dunque, tramite commercialista, ad una finanziaria in Toscana (la sede legale ufficialmente è a Milano), gestita dai fratelli siciliani  Saccà e che lo accoglie... molto meglio diventandone soci di maggioranza. Questi sono in affari con un altro gruppo di fratelli, dal cognome ben più noto: i Nuvoletta di Marano, ovvero una delle costole di “Cosa Nostra Campana”, i mafiosi affiliati ai siciliani ma nativi della Campania. Per intenderci, l’unica altra costola di “Cosa Nostra Campana” sarebbe il clan dei Casalesi, almeno alle sue origini.

Quando il proprietario del “Regris” si accorge di tante, tantissime fatture non pagate e dell’aumentare dei debiti, minaccia di andare dai carabinieri. Una pistola puntata alla tempia, però, oltre che una risposta molto chiara, è un forte incentivo per la firma di ulteriori ordini d’acquisto. I mafiosi dunque in questo caso si sono imposti su di un complice forzato. Ma è solo l’inizio.

C’è il caso di Franco Caccaro, originario di Fratte di Santa Giustina in Colle, terra di pollicoltori. “Francheto” nasce come virtuoso imprenditore del riciclo: sua l’idea di sminuzzare i materiali delle cassette trasporto pollame, usati, poi, per fabbricare delle cassette nuove. Sono molto convenienti e vanno a ruba, al punto che i guadagni permettono a Caccaro di creare l’azienda “Tecnologie per l’ambiente” (TPA) e che questa diventa presto una holding, con numerosi soci. Siamo nei primi anni 2000. Nel 2006 però i soci più stretti vengono estromessi, in seguito a discussioni inerenti un aumento di capitale sociale che, in teoria, né loro né Caccaro avrebbero potuto permettersi. Chi c’è dietro?

Colui che porta liquidità a Caccaro è l’avvocato Cipriano Chianese. Secondo le cronache sarebbe “l’inventore delle ecomafie”. La sua impresa “Resit” ha gestito a lungo discariche in tutta la “Terra dei fuochi”. Ed il 7 ottobre 1997 Carmine Schiavone, ex del Clan dei Casalesi e collaboratore di giustizia, davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta sul traffico dei rifiuti lo indica come l’uomo che conosce tutte le dislocazioni dei vari bidoni radioattivi provenienti dalla Germania. Chianese, inoltre, già dall’anno precedente risulta nel mirino della Criminalpol di Roma attraverso un’informativa che lo segnala per attività contigua ed organica al sodalizio mafioso dei Casalesi dal 1988. E, tanto per non farsi mancare niente, nel 1993 era divenuto oggetto di misure cautelari.

Quale sarebbe stato l’obiettivo finale che avrebbe avviato il rapporto stretto tra  l’imprenditore veneto genio del riciclo ed uno specialista campano nel business dei rifiuti con agganci di mafia? Per il parere degli investigatori, la trasformazione di parte del Veneto in una “Terra dei fuochi” settentrionale. Progetto che avrebbe visto una netta stroncatura nel 2011 grazie alla DIA di Napoli, la quale indagava su questi strani movimenti tra il Casertano ed il Padovano. Tre sono i milioni di euro accertati come cifra (che secondo alcuni sarebbe stata ben più ampia) passata da Chianese a Caccaro.

Il 4 Luglio del 2016 vengono condannati a 3 anni il primo, a 4 anni e sei mesi il secondo dopo la bancarotta fraudolenta di TPA Trituratori nel 2009, con 65 dipendenti che perdono il lavoro.  Gran parte delle accuse iniziali sono cadute, questa no ed ha comportato una condanna. Tanto basta a tenere alto il livello della polemica, soprattutto in politica: Alessandro Naccarato, del Partito Democratico, sottolineando come la sentenza dimostri l’esistenza di rapporti tra un imprenditore padovano ed un esponente del crimine organizzato campano, fa notare anche la presenza di un altro esponente politico, Clodovaldo Ruffato, come socio nel giro di imprese di Caccaro. Ruffato non è accusato di niente, non lo è mai stato. E’ stato solo socio di “Francheto” nella Sica Srl. Una società che per anni, dal 2005 al 2008, pare non fare altro che accumulare perdite, fino al fallimento. All’epoca il politico era consigliere regionale, dal 2010 sarebbe diventato Presidente del Consiglio Regionale Veneto al fianco di  Giancarlo Galan. Un altro socio di Caccaro è legato al centrodestra: sempre lui, Chianese, candidato, nel 1994, con Forza Italia.

Ma anche nella storia recentissima abbiamo un nome dell’imprenditoria veneta che decide di legarsi, mani e piedi, alla mafia: Adriano Biasion, di Piove di Sacco. Stavolta non c’entra niente, però, il clan dei Casalesi, adesso l’organizzazione di riferimento è un ramo della Ndrangheta, la cosca Grande Aracri.

Questo gruppo mafioso ha alle spalle feroci guerre con ndrine rivali ed una forte capacità di espansione economica, non solo in Italia ma anche all’estero, con un investimento immobiliare in Algeria, un affare da milioni di euro. Il deciso interesse della cosca per l’infiltrazione nelle logge della Massoneria è cosa nota agli inquirenti: i massoni sono legati dal vincolo di aiuto reciproco ed il clan mira a trarne vantaggio. La ndrina Grande Aracri ha, inoltre, tentato di aprire canali di contatto diretti con ambienti del Vaticano e, nelle sue più alte aspirazioni, anche con certe stanze della Suprema Corte di Cassazione. Una realtà criminale che sicuramente non si fa problemi a puntare sempre più in alto, nonostante lo “stato maggiore” del clan sia detenuto.

Quali sarebbero i legami tra Biasion e i Grande Aracri? Per gli inquirenti l’imprenditore avrebbe avviato un’associazione a delinquere, assieme ad esponenti della ndrina, volta al riciclaggio del denaro sporco tramite fatture false. Questi contatti sarebbero stati, poi, utilizzati da lui per riscuotere crediti personali.

Secondo le sue stesse dichiarazioni Biasion nel 2006 conosce lo ndranghetista Sergio Bolognino, il quale gli presta del denaro. Questo debito cresce, raggiunge i 190mila euro. Bolognino ad un certo punto viene a sapere che Biasion accetta di emettere fatture false per un terzo soggetto e, quindi, chiede vengano emesse anche per lui. Tali fatturazioni per conto del clan continuano anche dopo il 2013, anno nel quale Bolognino viene arrestato per l’inchiesta “Aemilia”, una delle prime offensive d’assalto contro i Grande Aracri. Biasion, intanto, gira ai suoi soci mafiosi i nomi di altri imprenditori che gli devono del denaro, di modo che i calabresi, a volte accompagnati da lui direttamente, direttamente prelevino da questi i contanti per saldare il suo debito.

Antonio Biasion è finito in carcere nel 2019 e nel corso di quattro lunghi interrogatori ha descritto se stesso come vittima delle circostanze, trascinato da cattive compagnie, spaventato dalla fama dei calabresi, i quali avrebbero anche, a suo dire, agito fisicamente contro altri imprenditori in almeno un paio di circostanze.

Certo, viene da chiedersi come mai un uomo d’affari non si informi, prima di accettare soldi in prestito da un determinato soggetto, su chi sia la persona od il gruppo col quale andrà a contrarre il debito. Del resto, come già detto, gli inquirenti non sono per nulla convinti che lui sia una vittima, quanto piuttosto un promotore dell’infiltrazione criminale nel Veneto.

Biasion è stato rilasciato dal carcere per passare agli arresti domiciliari durante l’emergenza Covid, ha chiesto il processo con rito abbreviato, ed andrà a sentenza entro l’autunno. Vedremo l’evolversi della situazione.

Dennis Vincent Klapwijk

Qui gli articoli della serie Mafia in Veneto

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