Accordo Lovato Gas, c’è qualcosa che non va: in 70 incentivati all’uscita o accompagnati… Come a breve per la Omba dei Malacalza?

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Mi dispiace, ma credo che ci sia qualcosa che non vada nella vicenda della Lovato Gas e nell’accordo raggiunto tra sindacati e proprietà. Il risultato ottenuto è sostanzialmente quello di evitare la chiusura della storica azienda vicentina. Un risultato positivo, certamente, ma a che prezzo? Si legge di una pesantissima riduzione di personale. Certo, mantenere 23 dipendenti (in un altro sito produttivo) è meglio che “mandare tutti a casa“. Certo, gli “esuberi” (quasi 70) saranno , come si legge, “accompagnati dalla Regione in un percorso di ricollocazione lavorativa” o “incentivati all’uscita“…

Ma il risultato è che evitare la chiusura comporta, comunque, il licenziamento di decine di addetti. La proprietà ha ottenuto, quindi, quello che plausibilmente voleva. Una diminuzione dei costi e il “trasferimento” del “problema licenziamenti” ad altri. Un accordo, quello della Lovato Gas, che, forse, non poteva essere migliore (nessuno, penso, voglia né possa mettere in dubbio il grande impegno sindacale fatto dallla Fiom CGIL) ma che dimostra una debolezza nei rapporti di forza tra chi vive del proprio lavoro e il “datore di lavoro” sempre più preoccupante. Il risultato che si ottiene è comunque sempre “al ribasso” e con poche prospettive per il futuro dei lavoratori. Sembra di rivivere sempre uno stesso copione: si annuncia il licenziamento di tanti lavoratori, si contratta, si ottiene l’allontanamento di meno lavoratori (comunque sempre tanti) e tutti sono soddisfatti.

Non credo sia così. In più parti si legge che questo accordo “salva l’impresa” o, come afferma l’on. Erika Stefani, che “il nuovo Governo che verrà dopo le elezioni del 4 marzo dovrà dare finalmente risposte alla richiesta degli imprenditori che chiedono mercati, chiedono meno burocrazia, una giustizia veloce e quindi chiedono solo di lavorare“. Mi sembra che queste affermazioni siano chiare e veritiere. Ha vinto l’impresa. Non hanno perso, per il momento e forse, le poche lavoratrici e lavoratori che resteranno occupati e che, probabilmente, saranno sotto ricatto occupazionale. Hanno perso gli altri che saranno “accompagnati” verso altre occupazioni o all’uscita dal mondo del lavoro. E ha perso anche il territorio vicentino che vede l’allontanamento progressivo della produzione verso altri luoghi dove “tutto” (lavoro, sicurezza, diritti) costa meno.

Risolta la vertenza Lovato Gas, secondo tanti in maniera “positiva”, adesso toccherà alla Omba di Torri di Quartesolo. Il futuro non sembra roseo.

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.