La “normalità” delle piazze di spaccio. Da Roma a Trento, passando per Vicenza a Campo Marzio

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Campo Marzio, anche piazza di spaccio
Campo Marzio, anche piazza di spaccio

Il pensiero comune, favorito anche dal “mito” costruito da serie tv e film, vede la “piazza di spaccio” come un territorio alla Scampia, completamente alieno rispetto alla normalità. Una zona requisita dai clan, con sentinelle aggressive, nella quale entra solo chi fa manovalanza criminale, chi compra e chi vive negli stabili che, a volte, possono essere utilizzati come spazi aggiuntivi per la logistica della piazza stessa.

La realtà è assai diversa. Le piazze di spaccio sono tra loro molto diverse. Possono essere parchi, piazze vere e proprie, parcheggi, isolati, quartieri interi. A volte si può entrare in queste “aree commerciali” della malavita senza nemmeno rendersene conto.

L’infiltrazione delle mafie, senza le quali non esisterebbero le piazze di spaccio, è infatti applicata in maniera astuta e diversificata. Se in molte città o piccoli paesi possiamo trovare un controllo del territorio capillare e gestito in maniera ostentata come alternativo a quello dello Stato, esistono anche spazi che sono sempre gestiti dalle organizzazioni criminali, ma senza alcun tentativo di sostituzione all’autorità. Sono occupazioni più “dolci”, meno invasive, anche se ben presenti e percepibili.

Nel corso degli anni ne ho viste di persona più di una, e ce ne sono tre che ho trovato particolarmente interessanti, dal Centro al Nord Italia.

La prima di queste fu circa tre anni fa a Roma. Ero andato nella capitale per una riunione e la sera mi fermai a mangiare in un locale di San Lorenzo, assieme ad un amico.

Camminando mi trovai davanti due ragazzi tra i diciotto ed i vent’anni, che si muovevano in maniera strana. Erano girati l’uno verso l’altro, senza parlare tra di loro e senza guardarsi. Sembravano osservare qualcosa di indefinito tra i tetti e i balconi, continuando a muovere gli occhi. Avevano due giubbetti con tinte vivaci e fosforescenti, e camminavano mantenendo una velocità simile alla mia, di modo da mantenere sempre la stessa distanza tra noi: se rallentavo, rallentavano. Se acceleravo, acceleravano. Vista così era una situazione leggermente comica, e chiesi ad alta voce al mio amico “Ma lo fanno apposta sti due qui ?”. Affrettarono il passo all’improvviso e sparirono tra le varie compagnie e comitive che si affollano normalmente le strade e le piazze di San Lorenzo.

“Sì, lo hanno fatto apposta” sorridendo mi disse l'amico “ti spiego a cena”

In poche parole la situazione era la seguente: non capivano se fossi un semplice passante oppure un poliziotto nuovo della zona, che si faceva un giretto di controllo. Stavano, nel dubbio, marcando il territorio.

“Che non sei di Roma né ci vivi si vede, si sente” diceva il mio amico, con una parlata fortemente romanesca

“Ti hanno scambiato per un poliziotto fresco di trasferimento che faceva un giretto per familiarizzare col territorio. Hanno visto uno che non si guardava intorno come quelli che fanno la movida, in più vestito con una giacca mimetica e gli stivali. Dovevano mostrare che ti avevano individuato. Quando mi hai parlato, facile abbiano capito di aver sbagliato valutazione e sono scomparsi”
“Ma chi sono quelli? Spaccini?”
“Sì. Ragazzi e ragazzini di borgata, pischelli. Poca voglia di andare a scuola, bisogno di soldi come tutti, e vanno a tenere le piazze. Controllano e vendono. Come hai visto non sono “cattivi” in senso classico. Poi sono un po’ esibizionisti. A volte li senti parlare con preoccupazione dei clan nuovi che scalzano i vecchi, del fatto che a seconda di chi vince loro possono perdere il lavoro”

Un ritratto criminale non propriamente feroce. Un’organizzazione dedita allo smercio della droga in maniera relativamente tranquilla, che quasi non si vede e non si sente se non si appartiene alla categoria dei clienti, perfettamente mimetizzata nella movida universitaria.

Risultava poi abbastanza grottesca la preoccupazione sugli eventuali conflitti tra clan espressa da quegli spacciatori. Come gli impiegati e gli operai preoccupati di perdere il lavoro in caso di fallimento o acquisto dell’azienda da parte di un colosso intenzionato a delocalizzare, questi giovani pushers discutevano con ansia di cosa sarebbe successo alla loro fonte di reddito nel caso l’organizzazione che li pagava fosse stata scalzata da un’altra. Un discorso banale e fuori dall’ordinario allo stesso tempo, la preoccupazione per lo stipendio mensile legato però a dinamiche criminali violente, anche se percepite come distanti. Perché è chiaro che quando un’organizzazione prende il controllo di una zona togliendola ad un altro gruppo, tutto questo succede attraverso un conflitto.

Pochi mesi dopo dovetti andare a Trento per sistemare delle questioni con la segreteria dell’Università. Sveglia antelucana, viaggio in regionale, arrivo, tre minuti a piedi dalla stazione, disbrigo delle pratiche.

Il tutto si risolse in fretta, ma non abbastanza velocemente da poter prendere l’ultimo treno prima di un buco di due ore nella tratta Trento – Verona del mattino. Vista la poca voglia di camminare, causa stanchezza, ed il mio amore per i parchi e le piazze verdi, decisi di sedermi su di una panchina di Piazza Dante, ben soleggiata, e di farmi anche un piccolo pisolino.

Da quella piazza ero già passato più di una volta e mi ero anche fermato su alcune panchine, quelle più esterne.

Conoscevo la nomea del posto, che ha un viavai abbastanza evidente di tossicodipendenti e acquirenti di droghe varie, dai giovani in cerca di eccitanti ai più classici eroinomani con fisici visibilmente malridotti.

In quella piazza si vedevano parecchi africani, e degli interessi della Mafia Nigeriana a Trento abbiamo già parlato, oltre a maghrebini, che passavano il tempo tra le panchine ed i cespugli.

Le panchine più esterne però erano occupate, quindi mi sedetti in una di quelle che danno proprio verso la statua di Dante. E lì commisi l’errore. Mentre mi appisolavo sentii che un paio di persone si erano sedute sulla mia stessa panchina, due maghrebini, conversando tranquillamente tra di loro. Passò pure una donna italiana loro conoscente, con la quale parlarono di cose molto tranquille, tipo le condizioni meteorologiche. Quando la donna se ne andò, percepii un leggero peso sulle gambe e aprii un occhio. C’era un piccolo sacchettino.

Compreso il messaggio presi il sacchettino, mi alzai e lo misi sulla panchina, allontanandomi in fretta prima che un sospettoso poliziotto, che da una volante teneva d’occhio la piazza, cominciasse a pensare male. I due maghrebini intanto ridacchiavano di gusto.

Quei due erano entrambi spacciatori e le panchine erano “zona loro”. Passare di lì a piedi poteva capitare, ma fermarsi equivaleva ad una richiesta esplicita di acquisto. I due dovevano essere esperti perché, sospettando di avere a che fare con un semplice sciocco inconsapevole che però poteva anche essere un cliente nuovo e molto timido, hanno fatto in modo di suscitare una reazione chiarificatrice.

Una gestione molto tranquilla, anche in questo caso, con una presenza visibile e palpabile, ma non definibile come “occupazione militare” sullo stile, appunto, di molte storie che vediamo raccontate in televisione ed ispirate da realtà diverse. Certo, anche in Piazza Dante a volte scoppiano risse tra gruppi, ma una gestione violenta del territorio non è la regola, non è la norma. Perché non ripaga  in termini economici.

L’ultima piazza di spaccio che ho “trovato” è stata Campo Marzio, a Vicenza, l’anno scorso. Ero arrivato in città per un paio di interviste da inserire nella mia tesi di laurea, con anticipo rispetto all’orario concordato. Dato il mio già citato amore per i parchi unito alla mia già narrata ma persistente scarsa furbizia, mi sono incamminato dentro il verde, sui sentieri. Tempo tre passi e subito, con perfetto stile da piazzista del Folletto, un africano in bici mi si è affiancato e ha cominciato a chiedermi se volessi qualcosa, che lui aveva tutto.

Vedendo che si muoveva solo in una delimitata area rispetto ad una panchina dove parecchi suoi “colleghi” stavano fermi, mi sono allontanato di modo che non mi infastidisse più. Ovviamente senza accorgermi subito che non si muoveva oltre un certo spazio perché le zone erano appunto delimitate e divise tra più gruppi, i quali si radunavano su panchine diverse ed utilizzavano ognuno un “piazzista in bici”. Difatti ecco subito arrivare un’altra bicicletta col suo bravo “piazzista spacciatore” che ha ricominciato con la litania del “serve qualcosa, vuoi qualcosa, ho tutto io”.

La conclusione fu una mia rapida virata verso Viale Roma, per poi andare verso il locale dove mi aspettavano per l’intervista. Una dei due intervistati, che gentilmente mi riaccompagnò alla stazione di modo che non prendessi tutta l’acqua del diluvio universale, mi confermò che l’interno di Campo Marzio era effettivamente zona degli spaccini, una piazza di spaccio insomma. Non che non ci passasse in mezzo anche gente per nulla interessata all’acquisto di droga, però non era così strano essere agganciato dalle biciclette se si camminava lì in mezzo da soli. Un altro esempio di piazza di spaccio non militarizzata, non eccessivamente invasiva ma presente e percepita, visibile.

Insomma, le dinamiche legate al malaffare sono molto più vicine di quanto noi crediamo o pensiamo. Anche nella vita di tutti i giorni. La consapevolezza di tale realtà, lontana dalle spettacolarizzazioni della "piazza di spaccio" da serial tv, è abbastanza importante per favorire il contrasto di questi fenomeni.

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