La guerra dei vitalizi e l’ottusità di classe

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Non appena entrò in carcere Sergio Cusani, processato per la maxitangente Enimont, si lamentò delle condizioni carcerarie, dello spazio, del cibo, degli agenti di custodia. Il bocconiano senza laurea non era il primo ricco ad entrare in galera e fece di tutto per dimostrare di esserci per sbaglio: si impegnò in progetti di recupero per detenuti e ricevette la visita di Carlo Maria Martini. Volle dimostrare di appartenere a quella lunga schiera di reclusi a cui spettava un angolo con libri, carta e penna, che da Pelvico Poerio e Settembrini arrivava a Gramsci, quasi fosse un patriota, uno a cui era dovuta una scia di benevolenza come quella che accompagnava i galeotti anarchici sfrattati dalla “Lugano bella”.

Durante la discussione alla Camera sul taglio degli stipendi voluta dal M5S, il ruspante on. Sannicandro si lanciò nella difesa del ceto parlamentare affermando che il deputato non fosse un lavoratore dipendente soggetto ad obblighi di produzione, ma un eletto dal popolo: dunque un libero professionista, una specie di artista-sacerdote, non un metalmeccanico. Ora, quei fresconi dei 5 stelle hanno cancellato i vitalizi per i deputati in quiescenza, e si è alzato un coro di proteste che hanno preso persino le vie legali. Uno non arriva a fine mese, un altro ha i figli e nipoti da campare, uno deve curarsi il cancro, i soldi alla badante, la carrozzella, i pannoloni… Un’infinità di lamenti in cui i nostri eroi scoprono per se stessi esigenze che hanno sempre negato al resto della popolazione, una sensibilità di classe che purtroppo scoperchia la realtà della politica e delle sue rappresentanze.

Siccome ciò che penalizza il giudizio di costoro è il punto di vista, cioè la verità nascosta nell’adagio popolare de “l’uomo sazio che non crede a chi ha digiunato”, ci si domanda qual è il loro punto di vista, che cosa credono di essere costoro? Nonostante l’Istat calcoli la soglia di povertà assoluta intorno agli 800 euro per persona sola, i parlamentari soggetti a ricalcolo già intorno ai 2000 euro denunciano indigenza, pur essendo proprietari di più di un’abitazione e magari abitando in un paesino del sud, dove l’istituto di statistica assegna una soglia ben inferiore a quella nazionale. E allora ecco la contraddizione. La vita sociale è vita di classe; non c’è alcuna percezione dei problemi degli altri oltre lo steccato di ceto, oltre l’ambito circoscritto dalle proprie relazioni abituali. Eppure ciò che viene negato dai più è appunto la classe, l’ordine, il filtro della coscienza individuale nella comprensione della storia del mondo.

I negatori sono gli stessi che pretendono due forme di rispetto, quella da e verso se stessi; due morali, una che riconosce come veniali i peccati che danneggiano gli estranei al proprio ceto, e l’altra che avverte come mortali i peccati contro i loro amici; due giustizie, quella in cui s’interpretano e quella in cui si applicano le leggi. Sono gli stessi abituati a vedere punita la povertà dal sistema giudiziario, e che gridano allo scandalo quando uno di loro finisce in manette; sono quelli che si ammalano in galera e che tempestano di ricorsi e petizioni il giudice di sorveglianza. Gli ottusi della classe sono quelli che parlano della gente come di un paesaggio, che ordinano al cameriere senza guardarlo in faccia, e che camminano incuranti sopra ad un pavimento ancora bagnato.

Eppure, dappertutto la povera gente avverte la realtà della divisione sociale, l’esistenza di una tribù diversa dalla propria a cui ha dato persino un nome, Loro (Iori), quelli tra cui vigono leggi non valide per gli altri, quelli del cane che non mangia cane, quelli che la fanno sempre franca. In un’intervista sui vitalizi, la deputata PD Paola De Micheli mentre argomentava sul provvedimento ha detto senza pudore: “Se passa questo, non si sa più dove si va a finire”. Purtroppo i giovinotti del Movimento 5 stelle nella loro foga laica e geometrica hanno sollevato il lembo di una realtà che nasconde l’origine sacra della disuguaglianza di classe, ma non ne sono del tutto consapevoli. Così come non sono coscienti che l’unico razzismo è quello dei ricchi contro i poveri e che i primi a negare la lotta di classe sono coloro che l’hanno vinta.