La globalizzazione degli oppressi (una necessità) tra le tutele per ArcelorMittal (ILVA) e i 100 miliardi di Bernard Arnault (Louis Vuitton)

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La globalizzazione degli oppressi tra l'ex Ilva e Barnard Arnault
La globalizzazione degli oppressi tra l'ex Ilva e Barnard Arnault

Si legga la notizia ANSA (19 giugno 2019 ore 15:36) che riferisce la dichiarazione degli attuali padroni dell’ex ILVA riguardo il “decreto crescita”:

Se il Decreto dovesse essere approvato nella sua formulazione attuale, la disposizione relativa allo stabilimento di Taranto pregiudicherebbe, per chiunque, ArcelorMittal compresa, la capacità di gestire l’impianto nel mentre si attua il Piano ambientale richiesto dal Governo italiano e datato settembre 2017″. Lo afferma in una nota ArcelorMittal che comunica anche che la sua controllata italiana (ArcelorMittal Italia ‘AMI’) “ha manifestato al Governo italiano le proprie preoccupazioni”. “Il Decreto Crescita, nella sua formulazione attuale, cancella le tutele legali esistenti quando ArcelorMittal ha accettato di investire nello stabilimento di Taranto. Tutele che è necessario restino in vigore fino a quando non sarà completato il Piano ambientale per evitare di incorrere in responsabilità relative a problematiche che gli attuali gestori non hanno causato”.

Praticamente i privati ai quali è stato “ceduto” l’impianto vogliono avere l’impunità. Ovvero non essere perseguibili per qualsiasi cosa sia successa o succeda all’ex ILVA. Non vogliono affrontare nessun rischio. Pretendono, in definitiva, di fare quello che vogliono senza che nessuno li possa accusare di alcunché. Vogliono essere “protetti”. La sicurezza, per questi “signori” è importante solo per se stessi e si riferisce alle questioni penali. C’è inquinamento? Ci si ammala di tumore? E “chi se ne frega” sembrano ripetere ossessivamente come in un mantra … a “lorpadroni” basta guadagnare.

Sono attenti solo ai loro soldi. Intanto vogliono mettere in cassa integrazione 1400 lavoratori (accadrà dal 1° luglio), decidono di assumere quelli che vogliono (ovvero i lavoratori che “creano meno problemi”, non certo quelli che lottano in prima linea per condizioni di lavoro e di vita migliori o, almeno, dignitose) e, soprattutto, licenziare quando è, per loro, conveniente farlo.

Intanto nei quartieri adiacenti lo stabilimento le scuole vengono chiuse perché esiste un evidente pericolo per la salute. Intanto ci si ammala e si continua a morire di tumore … una situazione drammatica sotto tutti i punti di vista. Ma tant’è, a “lorsignori” interessa solo mantenere le proprie tutele. Cioè essere intoccabili. Una specie di prescrizione preventiva. Loro non si assumono nessuna responsabilità e lo pretendono per “grazia ricevuta”. Non vogliono difendersi da qualche accusa, no, non vogliono correre il rischio di venire accusati. E, così, ricattano il governo, lo Stato e la collettività. Alla faccia di quella “legge uguale per tutti” sancita dalla nostra Costituzione. Loro sono al di sopra degli altri, anzi, di tutti.

Si guardi bene. Questo è il trionfo dell’individualismo e del privilegio. È l’ideologia di chi è ricco e potente.

Forse è ora di accorgersi che regalare ai privati aziende strategiche, fare accordi sempre al ribasso con loro, non significa mai (o quasi) rilanciare l’azienda ma regalare loro il potere di fare quello che vogliono. Succede all’ILVA, all’Alitalia, è successo per le autostrade “cedute” a Benetton, succede ogni volta che si china la testa davanti al “padrone”.

È necessario che lo Stato si riappropri dei beni collettivi, delle industrie strategiche, che le controlli, che le gestisca. Che pianifichi lo sviluppo economico e industria. Che decida cosa pordurre e per chi. È necessario smettere di privatizzare e svendere le proprietà collettive o chiudere gli occhi di fronte alle nefandezze che questi padroni fanno. È necessario che chi sfrutta e specula non lo possa più fare e che venga perseguito e condannato per questo. È necessario che chi ha di più paghi il giusto e non il meno possibile come si prospetta con la “tassa piatta” così voluta dal governo. Una tassa uguale per tutti che, di fatto, aumenta le disparità.

Ci dicono che è il mercato che regola tutto. È solo un feticcio che serve a nascondere la voracità dei capitalisti.

Guardiamoci intorno … in Italia ci sono 5 milioni di poveri e poche decine di miliardari (in euro) che vengono chiamati bonariamente “paperoni”. Di questa disuguaglianza a nessuno, nei fatti, sembra importare più di tanto. Così si prospetta l’abbassamento delle tasse “per tutti” (che viene fatta passare come una cosa “democratica”) che porterà come logica conseguenza  l’aumento dei costi per la salute, per l’istruzione, per i trasporti “per tutti” (ma pagarsi le spese mediche non è lo stesso per chi guadagna poche centinaia di euro al mese e per chi ha ricchezze a 9 e più cifre). Ci dicono che servirà a rilanciare l’economia e, invece, servirà solo ad aumentare il conto in banca e la ricchezza degli stessi che oggi (ma è da sempre) pretendono di non essere mai responsabili di alcunché.

Si rifletta un minimo sui disastri del capitalismo (di quello reale, non di quello che ci raccontano). Ci sono sempre più guerre e devastazioni. La povertà e la fame, le malattie non vengono adeguatamente combattute. La produzione delle armi prolifera e la loro vendita produce ricchezze spaventose. Si chiudono i porti alle persone e si aprono all’esportazione di armi. Di lavoro si muore sempre di più e si risponde, di fatto, con un “me ne frego” di fascistissima memoria … ma non tutto va male. Per qualcuno, certamente, va benissimo.

Facciamo un esempio. È di queste ore la notizia che il signor Bernard Arnault, proprietario del gruppo del lusso LVMH (Louis Vuitton), ha una ricchezza personale che supera i 100 miliardi di dollari. Una ricchezza che vale più del 3% dell’economia francese.

Vi sembra qualcosa di giusto? Di democratico? Non sarebbe, forse, ora di ribellarsi a questo stato di cose? Non sarebbe utile e necessario abbattere i privilegi individuali e contenere queste incredibili ricchezze personali che inquinano il nostro mondo creando ingiustizie e disuguaglianze insopportabili? Chiediamoci se il capitalismo crea ricchezza e, soprattutto, a chi va questa ricchezza. Ai lavoratori che la producono o ai ricchi che la spendono? Chiediamoci se sia ragionevole che poche “famiglie”, un esiguo numero di “persone” possieda la stessa ricchezza di 4 miliardi di esseri umani. Questo è il capitalismo, la globalizzazione di “lorpadroni”.

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.