Kebab in centro storico, sì o no? Come si comportano le grandi città d’Italia

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Kebab

A Vicenza ha fatto discutere, e lo farà ancora, perché quasi sicuramente arriveranno i ricorsi, l’ordinanza, non ancora approvata e forse già ritirata, in cui il Comune dice no all’apertura di nuovi esercizi commerciali in centro storico, a meno che non siano di qualità. In particolare l’attenzione mediatica si è concentrata sui kebabbari. Il Kebab è un piatto tipico della cucina turca, molto simile, infatti molti dicono che sia un’imitazione, alla pita greca. La nuova ordinanza include nel centro storico anche viale Milano e laterali, e San Felice, il cosiddetto quadrilatero. Una zona che avrebbe bisogno di essere considerata anche quando si parla di cose belle, come l’arte, le mostre, i concerti, le attività culturali. In ogni caso, se provate a trovarvi affamati in centro, che siano le dieci di sera o le due di notte, che siate in viale Milano, in piazza dei Signori o in Corso Fogazzaro, vi renderete conto che i kebabbari nel centro di Vicenza non sono poi così tanti. Nei quartieri invece, come a San Pio X, o in città grandi come Roma, può capitare di trovarne anche due di fila a pochi passi uno dall’altro.

Spesso infatti i Kebab sono ristoranti, che propongono un menu vario e hanno ampio spazio per sedersi e passare un po’ di tempo, a volte invece possono essere piccoli posti dove consumare, per necessità, in fretta il panino o piadina. Insomma il mercato è libero, è ampio. Ma del resto è la stessa cosa per i commercianti italiani che vendono panzerotti, piadine, panini, pizzette, come capita a Padova tra via Dante e piazza dei Signori, dove poi ci si siede sugli scalini dei monumenti per mangiarli. A Padova l’ex sindaco leghista Bitonci, che subito dopo essere eletto aveva regalato, coi soldi del Comune, un crocifisso per ogni scuola della città del Santo, aveva tentato una crociata contro i kebabbari, non solo in centro. E lui non voleva solo limitarne le nuove aperture, ma anche far chiudere alle 18, massimo 20, quelli che già c’erano. Una battaglia già vinta a Cittadella, cittadina medievale di 20 mila abitanti da lui precedentemente amministrata. Amministrare Padova, città universitaria con 200 mila abitanti, è un po’ diverso. I titolari dei Kebab avevano presentato ricorso al Tar, che però aveva dato ragione a Bitonci. La sua ordinanza è comunque caduta nel vuoto dopo il ribaltone che lo ha estromesso da palazzo Moroni riportando il centrosinistra al governo della città. A Padova ci sono due ottimi ristoranti messicani in pieno centro; nella stessa via di uno di loro c’è anche un kebabbaro; un ottimo kebabbaro albanese che fa la pita greca si trova invece in piazza delle Erbe, sempre pieno centro. Altri kebabbari sono situati in zone ‘strategiche’: due vicino alla stazione, uno davanti alla discoteca Factory. I problemi di ordine pubblico ci sono stati e ci sono ancora fuori dal centro, nel quartiere Arcella. Sono recenti, per esempio, le polemiche sollevate alla notizia della possibile apertura di un nuovo Kebab, in questo quartiere, che è comunque il più popoloso di Padova, 40 mila abitanti. Commercianti e residenti sono pronti a raccogliere le firme per bloccarne l’apertura, l’opposizione chiede al Comune di frenare la crescente espansione di locali etnici nella zona.

Venezia è sicuramente una città unica al mondo e particolare. Con 3 euro si può bere un’ombra, cioè un bicchiere di vino (si chiama così perché un tempo sotto al campanile di San Marco si appostava un venditore di vino che per non stare sotto al sole si spostava seguendo appunto l’ombra) e gustare un crostino col baccalà. Allo stesso tempo si può anche spendere 4 mila euro per mangiare pesce e bere vino di qualità in ristoranti di lusso. E ovviamente si trovano anche i kebbari, anche se in centro non sono molti. Nel 2017 un’ordinanza del consiglio comunale, giunta di centrodestra, limitò l’apertura di nuovi Kebab nel centro storico e nelle isole di Murano e Burano.

A Verona, città turistica, di Giulietta e Romeo, di rinomati poli ospedalieri e universitari, della magica Arena, i Kebab nel centro storico sono tre. Nel 2016 la giunta del leghista Tosi,  fuoriuscito dal partito per fondare ‘Fare!’, emanò un’ordinanza praticamente identica a quella di Rucco, tutt’ora vigente, che vietava di aprire nuovi locali etnici in centro storico.

A Milano i locali multietnici non sono né una novità né un problema da molti anni. Il Kebab ha quasi sostituito la cotoletta e la cassoeula come piatto tipico, tanto da essere stato protagonista di un curioso episodio avvenuto nella periferica Trezzo sull’Adda nel 2014 quando un 26enne con un taglierino derubò un kebabbaro facendosi però prima consegnare tutto il Kebab e venne arrestato poco dopo con i sacchetti di cibo ancora in mano.

Torino è anche protagonista del goliardico gruppo Facebook “Torino capitale mondiale del Kebab”, indice, seppur ironico, della diffusione capillare e radicata del piatto etnico. All’inizio del lockdown un locale egiziano decise di distribuire olio, pasta e altri viveri alle persone più bisognose e che avessero problemi con la spesa e tra i cibi distribuiti c’era anche il kebab.

A Genova nel 2018 una delibera comunale proposta da un assessore leghista vietò l’apertura di nuovi locali etnici nel centro storico. Vietati anche phone center e sexy shop, l’uso di alimenti precotti e le nuove attività potranno essere aperte solo se l’offerta commerciale sarà di qualità, esattamente come nella delibera tanto discussa a Vicenza. Ciononostante il centro storico, secondo quanto riportano i giornali locali, è spesso protagonista di episodi di cronaca nera in quanto vi operano frange della criminalità organizzata: spaccio, violenza, aggressioni si ripetono spesso.