Idroelettrico, su Il Sole 24 Ore la protesta degli imprenditori veneti: “sviluppo energie rinnovabili bloccato dai vincoli regionali”

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Palazzo Balbi Regione Veneto

Un bacino, quello dell’intera Regione, potenzialmente ricchissimo per quella che è l’energia rinnovabile per eccellenza: quella idroelettrica. Logica vorrebbe che l’intera Regione ne approfittasse per incrementare in modo determinante la propria capacità di avvalersi di fonti di energia rinnovabile. Tanto più che nell’estate del 2019 il Ministero per lo sviluppo economico ha varato il nuovo decreto incentivi per le energie rinnovabili, che si articolerà in 7 distinti bandi.

Ebbene nel primo dei due primi bandi sono presenti soltanto due impianti in Veneto (uno da 73kW ed uno da 91 kW) (tanto per fare alcuni raffronti, il Piemonte ne ha iscritti 50, la Lombardia 33, l’Emilia Romagna 24 ma anche il piccolo Molise ne ha iscritti 10 e la Basilicata 11)

Due bandi tre impianti

Nel secondo bando, il Veneto ha iscritto un solo impianto: come Puglia e Sicilia mentre la Lombardia ne ha 42, il Piemonte 28. La Campania ne ha iscritti 4 e il Molise 5. Il dato relativo al Veneto balza agli occhi con straordinaria evidenza. «Negli ultimi cinque anni – spiega l’avvocato Giovanni Battista Conte, che insieme a Confindustria Belluno e agli industriali del settore sta combattendo una battaglia per sbloccare una situazione che ha del paradossale – gli unici progetti nazionali da circa 10 MW sono stati tutti proposti proprio in Veneto, pur non riuscendo mai ad ottenere le necessarie autorizzazioni.

Ponte troppo imponente

A uno di questi progetti, – insiste Conte – addirittura, è stata imposta la sostituzione di un ponte esistente come opera di compensazione e poi il progetto è stato rigettato dall’Assessorato competente – quello all’Ambiente – perché il nuovo ponte in regola con le norme vigenti sarebbe stato troppo imponente». Variegate e fantasiose le ragioni dei rigetti: «Si va dal cambiamento dei riflessi che si avrebbero sul pelo dell’acqua –spiega Conte – ai gravi danni che subirebbe la lampreda padana dai lavori di ripulitura di un canale esistente; dal divieto di realizzare impianti su torrenti ancora del tutto integri, al divieto di realizzare impianti dove già ci sono altre derivazioni, briglie e argini costruiti, perché si inserirebbero manufatti nuovi in ambienti consolidati.

Gli effetti dell’orientamento

L’amministrazione regionale – prosegue il legale – fatica a giustificare i dinieghi alla realizzazione dei nuovi impianti, adducendo ogni possibile motivazione». Gli effetti di questo orientamento si riflettono quindi in modo evidente nel numero degli impianti incentivati in Regione Veneto messo a confronto con quelli delle altre Regioni.

«Risulta difficile accettare tale realtà – insiste Conte – a fronte del fatto che il Veneto è terra d’acqua e da tempo ha imparato a gestirla e utilizzarla. I veneziani hanno piegato i fiumi alle necessità dell’uomo e la forza dell’acqua è da sempre stata utilizzata per mulini e varie attività manifatturiere. Eppure l’amministrazione regionale sembrerebbe aver dimenticato di sfruttare questa risorsa nella maniera più naturale, ovvero mediante l’utilizzo degli impianti idroelettrici, eredi di quei mulini. La Regione dovrebbe contribuire allo sviluppo sostenibile del Paese, mentre al contrario sembrerebbe essere diventata incapace di utilizzare l’acqua nel miglior modo possibile, negando aprioristicamente la realizzazione di nuovi impianti da energia rinnovabile».

Obiettivo 32 per cento

Nel 2018 è stato concordato l’obiettivo di una quota del 32% del consumo energetico da fonti rinnovabili entro il 2030. In tutte le regioni d’Italia, ed in particolare del nord, gli imprenditori competono per aggiudicarsi gli incentivi al fine di realizzare degli impianti idroelettrici. «Ma agli imprenditori veneti – protesta Conte – ciò è precluso a causa del fatto che la Regione ha deciso di rinunciare a questo settore.

Conseguenze evidenti

Le conseguenze che tale decisione comporta appaiono evidenti con effetti sulla qualità dell’aria e sulle tasche dei veneti. Sembrerebbe invece ragionevole che si invertisse l’orientamento attuale, al fine di evitare delle ripercussioni irreversibili, che si possa rivalutare l’utilizzo della risorsa naturale, riattivando una filiera industriale di pregio ben radicata in regione».

di Stefano Elli da Il Sole 24 Ore