Futuro della Lega, Francesco Jori sul Piccolo: Matteo Salvini si converte alla rivoluzione liberale, a parole…

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autonomia Salvini Lonigo
Salvini a Lonigo

Avanti un altro. Tocca a Matteo Salvini iscriversi alla non piccola schiera di fautori di quella rivoluzione liberale che Piero Gobetti invocava ormai quasi cent’anni fa: fautori a parole, visto che non a caso un secolo dopo è ancora di là da venire. Per restare alla cosiddetta seconda Repubblica, basti citare due illustri precedenti: la promise solennemente Silvio Berlusconi nel 1994, annunciando la sua discesa in campo; assicurò agli italiani che l’avrebbe fatta la sinistra Massimo D’Alema, l’anno dopo, nell’austera location della City di Londra. Con quale esito, è sotto gli occhi di tutti.

Colpisce che ad auspicarla oggi sia lo stesso politico che un anno fa, a Pescara, chiedeva agli italiani “di darmi pieni poteri per fare quello che abbiamo promesso di fare, senza rallentamenti e senza palle al piede”. Strano concetto di liberalismo. Il guaio è che nelle liturgie partitiche italiane i buoni propositi sono quasi sempre strumentali. Se il leader della Lega stempera i tratti che gli hanno valso da Giuliano Ferrara l’etichetta de “il Truce”, non è certo per convinzione, ma per il combinato disposto tra il calo dei consensi esterni e i serpeggianti malumori interni. Ma i riscontri veri non tarderanno ad emergere: già domani, nell’annunciata riunione con gli europarlamentari leghisti, si vedrà quanto fondata sia l’intenzione di rompere con il gruppo sovranista. I fatti per ora lo smentiscono: come dimostrano l’astensione nel voto contro il despota bielorusso Lukashenko, il sostegno ai poteri speciali del premier ungherese Orban definiti “una decisione democratica”, e il peso che nell’organigramma leghista mantengono antieuropeisti viscerali come Zanni, Borghi e Bagnai.

Che all’Italia una rivoluzione liberale sia indispensabile come il vero pane della democrazia, è di vistosa evidenza. Che a farsene interprete e timoniere possa essere un centrodestra la cui leadership è contesa tra due urlatori seriali come lo stesso Salvini e Giorgia Meloni, è di non meno vistoso quanto legittimo dubbio. Anche perché il confronto è comunque a somma zero: i cinque sondaggi più recenti sui consensi della coalizione (Quorum, Emg, Ixè, Swg, Termometro politico) si attestano su una quota compresa tra il 45,5 e il 47,3 per cento, con meri spostamenti interni tra Lega e Fratelli d’Italia, e un ruolo ancillare di Forza Italia. Mentre rimane elevata la quota degli astensionisti dichiarati, che si colloca sopra il 40 per cento: un potenziale serbatoio sia per la destra che per la sinistra, entrambe peraltro incapaci di cogliere la domanda di vera politica che sale da questo pianeta fantasma. Una domanda che ha molto a che fare proprio con l’incompiuta rivoluzione liberale. Che tale rischi di rimanere a vita, l’aveva colto lo stesso Gobetti, quando il 12 febbraio 1922 pubblicava il primo numero della rivista con quell’ambiziosa testata: già lì denunciava “l’astrattismo dei demagoghi e dei falsi realisti”. E spiegava che “in Italia le cose non cambiano mai… i nostri mali e i nostri vizi rimangono sempre desolatamente uguali”.

Sostituite giorno mese e anno con 12 ottobre 2020, e vedrete che cambiando la data il prodotto non cambia.

Una desolazione, davvero.

di Francesco Jori da Il Piccolo