Bonazzi “scava” sull’uscita dal processo BPVi del giudice Miazzi, su possibili ispezioni, su Zonin e sullo show di Ugone con Zanettin

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Francesco Bonazzi, giornalista e autore di Viva l'Italia
Francesco Bonazzi, giornalista e autore di Viva l'Italia

Ieri titolavamo «Miazzi “lascia” processo BPVi: muti i “giornaloni” lo scrivono Il Fatto e La Verità il giorno del FIR. Zanettin commenta, VicenzaPiù…» e oggi il collega Francesco Bonazzi torna sul caso dell’astensione del giudice oltre che su certi favoritismi non “Usa style” a Gianni Zonin & c. e si rifà anche ad una presa di posizione di “Noi che credevamo nella BPVi” nei confronti del deputato vicentino, ex membro del CSM, Pierantonio Zanettin.

Detto che ci conforta vedere l’interessamento immutato, se non rafforzato, sulla vicenda della BPVi di un cronista, Francesco Bonazzi, sotto attacco per lue sue rivelazioni sui rapporti tra la banca e i servizi segreti più tardi prenderemo spunto da alcuni suoi passaggi per tornare anche noi sulla vicenda di Miazzi e sulle “provocazioni” da consumato show man di Luigi Ugone.

A Vicenza si rischia l’ispezione ministeriale, dopo il colpo di scena del giudice che ha dovuto astenersi dal processo a Gianni Zonin e soci per il crac della Popolare di Vicenza, perché ha scoperto che la propria sorella è avvocato di uno degli imputati. Sono passati otto lunghi mesi dalla costituzione del collegio giudicante e l’incompatibilità è saltata fuori solo adesso, quando il processo sembrava finalmente correre spedito. Si rischia di dover ripetere tutto, o comunque un notevole rallentamento, che aiuterebbe i banchieri a sfangarla all’italiana, ovvero con la prescrizione. 

Come ha raccontato ieri La Verità, il giudice Lorenzo Miazzi, presidente del collegio chiamato a rendere giustizia a 110.000 soci della Popolare di Vicenza che hanno perso tutto, lascia l’incarico perché avrebbe un rischio d’incompatibilità. Sua sorella Maria Luisa, avvocato del lavoro a Padova, dal 2015 difende Samuele Sorato, l’ex direttore generale della banca cacciato in malo modo da Zonin, quando il patròn sperava ancora di salvarsi, sacrificando il suo fido scudiero. Insieme, sono imputati di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, reati che si prescrivono nel 2020. Mentre il possibile processo per bancarotta fraudolenta, che invece sarebbe al riparo dalla prescrizione, è ancora fermo perché i legali di Zonin hanno impugnato la dichiarazione di insolvenza di una banca che è stata semplicemente sciolta nell’acido e regalata per un euro a Intesa Sanpaolo. Ora, dopo ben sette udienze nelle quali Zonin si è presentato con la sicurezza e il sorriso di sempre, forte del suo essere comunque a piede libero e dotato di regolare passaporto, si scopre che abbiamo scherzato. Agli atti del processo ci sarebbe un documento, come ha spiegato il presidente del Tribunale che ha accolto il passo indietro del collega Miazzi, dal quale si ricava la possibile incompatibilità tra il giudice e Sorato. Si tratta di un’incompatibilità che da un lato, come spiegano alcuni avvocati nel processo, avrebbe anche potuto essere sorpassata perché la vertenza di lavoro di Sorato poco c’entra con il processo penale di Vicenza. Dall’altro, sembra incredibile che solo nei giorni scorsi il giudice Miazzi abbia scoperto, o valutato come imbarazzante, questo incrocio con la sorella. Oltre a tutto, Padova non è a 800 chilometri di distanza, molti magistrati hanno parenti avvocati a Padova e anche in Procura potevano arrivarci. E poi lo stesso procuratore capo di Vicenza, Antonino Cappelleri viene da Padova, dove aveva lasciato un ottimo ricordo e dove ha da sempre la famiglia (la moglie, per altro, è avvocato pure lei).  

Ecco perché, dopo le proteste dei comitati delle vittime del crac, e lo scandalo per il rischio prescrizione, il guardasigilli Adriano Bonafede starebbe valutando se mandare un’ispezione a Vicenza. Fonti del ministero spiegano che nulla è deciso, ma c’è grande stupore per la storia degli otto mesi. Adesso, con il cambio del collegio, si dovrà decidere quali atti sono salvabili e quali sono da ripetere. Un bel problema.  

Ma ci sono almeno altri due aspetti di questa vicenda già paradossale di suo, che attendono di essere chiariti. Il tutto in una storia come quella della Bpvi che, negli Stati Uniti sempre presi a modello economico e finanziario nei vari convegni italici, a parità di “buco” avrebbe prodotto arresti immediati, condanne a due cifre e nessun trattamento in guanti bianchi per i manager coinvolti nella distruzione di quasi dieci miliardi di euro. Il primo elemento è che la linea difensiva di Zonin, che come emolumento da presidente prendeva quasi un milione, ovvero il doppio di Sorato, è che lui non sapeva niente delle “baciate” (mutui e fidi in cambio di azioni della banca) e neppure dei fondi offshore alla clientela “vip” della Vicenza, ma che la colpa era in sostanza di Sorato, che teneva il consiglio all’oscuro di tutto.

E però, ora Zonin e gli altri manager a processo “rischiano” di essere salvati da Sorato, visto che è dall’impugnazione in sede civile del licenziamento e dell’azione di responsabilità della Vicenza che nasce l’inghippo che potrebbe far deragliare il processo. La seconda stranezza è in parte drammatica, ma non meno strana: la posizione di Sorato è stralciata da mesi per gravi motivi di salute, ma Sorato non ha rinunciato alle azioni civili e il processo penale a Zonin e compagni si ferma per via dell’incompatibilità che nasce da uno stralcio.

Comunque, anche al ministero di Via Arenula sanno che Vicenza è un posto un po’ sfortunato. L’ex procuratore Paolo Pecori aveva un figlio avvocato che, naturalmente, visto che la città è piccola, era uno dei legali della Popolare di Vicenza. Ancor prima, il procuratore Fernando Canilli, famoso per come gestì con la “linea dura” alcuni sequestri di persona negli anni Ottanta, quando morì lascio una collezione di vasi etruschi dal valore inestimabile a Giovanni Zonin e alla “sua” banca. Banca per la quale ha sempre lavorato anche il figlio avvocato, Riccardo Canilli. A Vicenza, insomma, niente di nuovo.

Intanto gli azionisti truffati dell’Associazione “Noi che credevamo alla Banca Popolare di Vicenza” hanno scritto una lettera aperta a Pierantonio Zanettin, senatore vicentino di Forza Italia, avvocato ed ex membro del Csm. Insomma una persona che conosce bene i meccanismi della giustizia, come della non giustizia. Nel documento, molto polemico, e in cui si plaude a un “tardivo” interessamento alla vicenda, si chiede a Zanettin se durante il suo mandato al Csm (fino al 2018) “abbia avuto qualche dubbio o sentore sul fatto che possa esservi qualche influenza di vertice sulle Procure venete, che hanno operato nei tribunali dove si celebrano” i processi Bpvi e Veneto Banca.

di Francesco Bonazzi, da La Verità