Epifania, che tutte le feste porta via… E rimane la povertà

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Epifania, che tutte le feste porta via… leggeri svolazzi come capriole di fumo: dal nord come Santa Klaus, morbidi come le renne, scintillanti e biondo-dominanti come Agnetha Fältskog e la sua sottile finestrella tra gli incisivi, matriarcali – al suo fianco l’altra stangona, dietro di loro l’arredo scomposto dei due zinzulusi (capelloni) con i pantaloni a zampa d’elefante – gli ABBA portavano il Natale a fine anni ’70.

Non appena l’Occidente cominciò a tramontare si fecero largo nella disco music con il loro “Dancing Queen”, riproducendo sempre lo stesso registro: due o tre accordi per un’iniziale narrazione piena di nostalgia, due per un vigoroso risveglio, e un altro per il refrain di tutta la canzone. Snobbati dagli amanti della musica impegnata, amati dagli operai di mezzo mondo, accompagnarono gli uni e gli altri nel successivo decennio con l’incoscienza del declino e il rifiuto di una crisi che purtroppo non ebbero più fine.

Natale è principalmente la sua attesa, la maturazione dei significati di cui l’abbiamo progressivamente caricato. L’avvento è un mese di auguri, una festa progressiva che infine si celebra al chiuso delle mura domestiche. E’ la festa della proprietà privata, la vera religione della nostra società, che riempie le case di mercanzia, di cibo, di calore, di parenti lontani, e del tempestivo senso di colpa per coloro che non hanno di che celebrare. E, proprio quando la luce sembra sfuggire dalla terra, magnifichiamo le nostre dispense e alziamo i calici contro la profondità delle tenebre. Quasi storie di animali, storie di un periodo dell’umanità in cui la ragione vive la sua infanzia, la più parte delle volte al servizio delle nostre paure.

Così, se la storia dell’uomo è ricerca del senso, quella politica è storia del con-senso, e in questo scorcio di storia la democrazia è stata magnificata dalla classe dominante come il miglior mezzo per conseguirlo. Ma, sebbene sia stata più volte caricaturata, essa reca con sé una controindicazione esiziale: prima o poi consegue una coscienza che distrugge la divisione in classe. Non c’è bisogno di disprezzare la coscienza del popolo – l’ignoranza e l’ignavia sono sempre in agguato, quasi un prodotto della civiltà matura – ma raccontare frottole e tenere la gente lontana dai fatti importanti dell’economia e della politica è un’attività indispensabile per il potere.

Ad un certo punto della storia d’Occidente, il padrone s’accorge che la democrazia è pericolosa per il proprio dominio, e comincia ad inventare modi non espliciti per superarla. Ormai il fascismo (l’imposizione violenta della politica) è improponibile, dunque bisogna creare all’interno degli ordinamenti democratici spazi sempre maggiori per il governo di organismi privati, che si nascondano dietro il progetto del “bene comune” e facciano il bene di una parte. Le banche generarono una classe politica direttamente stipendiata da loro, governi svincolati dal controllo dei cittadini, svilirono il significato di cittadinanza, e s’inventarono persino una democrazia finta, sovranazionale, indipendente dal voto popolare. Al club Bilderberg, alla Commissione Trilaterale etc, seguirono gli USA delle banche e l’Unione Europea, che cominciarono a dubitare della democrazia: insomma, “essa non è sempre applicabile”, “bisogna superarne gli eccessi”.

Ma, se esiste una saggezza superiore a quella popolare, se non è possibile conseguire il bene comune con il contributo di tutti, se non si può spiegare a tutti ogni passaggio della produzione della ricchezza, perché quando questa viene distribuita si concentra attorno a pochi individui, perché esiste la povertà? Ecco la domanda che dovrebbe produrre la coscienza, che col naso adunco e la bruttezza sgradita porta la magra calza dell’età della ragione.

Epifania e naso adunco della Befana
Epifania e naso adunco della Befana