… e così sono 500 da inizio anno: sono le lavoratrici e i lavoratori morti a causa di infortunio nei luoghi di lavoro

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… e così sono 500 da inizio anno. Cosa? Ci si chiederà. La risposta è molto semplice e dolorosa allo stesso tempo.

Cinquecento è il numero delle lavoratrici e dei lavoratori morti a causa di infortunio nei luoghi di lavoro. In Italia, nei primi 10 giorni di novembre sono 20.

E i morti nei luoghi di lavoro nel 2020 in Veneto sono 33: Venezia (7), Belluno (1), Padova? (4), Rovigo (2), Treviso (4), Verona (9), Vicenza (6).  

Cinquecento vite stroncate che diventano circa il doppio se si considerano anche i decessi in itinere e oltre 1350 se si tiene conto delle persone che, contagiate nei luoghi di lavoro, sono morte a causa del covid-19 (fonte Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro)

Cinquecento fantasmi, tanti ricordi trasparenti. Questo massacro è una cosa normale, tragicamente normale, per la maggior parte dell’opinione pubblica e dei politicanti che occupano le istituzioni del nostro paese. Le notizie della morte mentre si lavora raramente compaiono nella stampa nazionale e, quando ci sono, scompaiono presto nell’oblio. Sembra che ognuno dei morti sul lavoro sia stato, in definitiva, “sbadato”, che si possa considerare solamente un pezzo di una macchina infernale che non può fermarsi e che deve produrre profitto. Cose che è normale si debbano usurare e rompersi. Scarti la cui esistenza, anche quando erano efficienti, valeva meno, molto meno di quello che producevano perché qualcun altro si potesse arricchire. In definitiva sono solo numeri di una fredda statistica e nient’altro. Ma si abbia coscienza (è da chiederlo non a chi li piange ma agli indifferenti e a chi pensa “tanto a me non succede”) che ognuno di loro era una persona che lavorava in fabbrica, nei campi, negli uffici, nei cantieri, negli ospedali. Che erano dipendenti, “soci” di cooperative, piccoli imprenditori, partite iva vere o false, precari, lavoratori in nero, braccianti … comunque sfruttati.

Vittime sacrificali di quella competizione ritenuta, soprattutto da chi comanda, qualcosa di positivo e di moderno. Competizione che fa accettare e subire condizioni di lavoro intollerabili piene di sfruttamento, fatica, alienazione.

Vittime di una ideologia che, volenti o nolenti, è diventata il “pensiero unico capitalista” che impone di lavorare per il profitto individuale e non per il benessere collettivo.

Vittime di un modello di sviluppo spaventoso che dovrebbe essere abbattuto.


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