Decreto ristori, Confartigianato Vicenza incontra il prefetto: “preoccupati da tempi e modi, vogliamo lavorare”

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Confartigianato Imprese Vicenza incontra il Prefetto
Confartigianato Imprese Vicenza incontra il Prefetto

Nonostante il decreto ristori, a Vicenza come in molte altre città gli esercenti sono ancora sul piede di guerra e oggi i loro rappresentanti di Confartigianato Imprese Vicenza hanno incontrato il prefetto Pietro Signoriello per i spiegargli le loro ragioni e i loro malumori rispetto all’ultimo Dpcm anti-Covid. I presidenti provinciali delle due categorie, Oliviero Olivieri per i Pasticceri e Christian Malinverni peri Ristoratori, assieme al vice presidente di Confartigianato Vicenza, Gianluca Cavion, hanno così illustrato al Prefetto Pietro Signoriello le ragioni della loro preoccupazione, cercando anche di capire le logiche con cui vengono ‘chiuse’ alcune attività, con la richiesta di portare la voce degli artigiani al Governo. “Se il problema è il non rispetto delle regole e modalità di consumo di cibi e bevande, si vadano a colpire i comportamenti scorretti che mettono a rischio la salute di tutti e non le attività che rispettano le regole”, questo il messaggio di Confartigianato.

A Vicenza sono complessivamente 689 le attività toccate dal provvedimento (249 tra pasticcerie/gelaterie; 440 le imprese della ristorazione) per un totale di quasi 4mila addetti occupati (1.251 in pasticcerie/gelaterie; 2.148 nella ristorazione). “Quello del 24 ottobre sembra un provvedimento più votato alla punizione che alla prevenzione e al controllo, con il paradosso che si punisce chi ha investito in sicurezza, per adeguarsi ai diversi protocolli – ha spiegato al Prefetto il vice presidente Cavion-. Nel frattempo il Trentino interviene derogando, sulla base delle evidenze sanitarie locali. Se questo principio vale, non è pensabile circoscriverlo ad un ambito territoriale, deve trovare applicazione in tutto il territorio nazionale poiché in gioco c’è un la salute pubblica. In caso contrario, il Governo deve impedire fughe in avanti che portano a forme di concorrenza sleale tra le nostre attività a confine con quelle, ad esempio, della provincia di Trento che possono rimanere aperte fino alle 22”.

“Da mesi le nostre imprese hanno affrontato i sacrifici richiesti, avremmo voluto solo che venissero adottate soluzioni per punire comportamenti scorretti di singoli cittadini e di operatori anziché stoppare in modo casuale, generalizzato e incomprensibile solo alcune attività. L’estate aveva dato una boccata di ossigeno al mercato, dopo la chiusura primaverile, ma la vera sfida era affrontare l’autunno per il quale le imprese si erano attrezzate anche con investimenti; ora tutto questo viene mortificato con la logica di evitare gli spostamenti e gli affollamenti quando i controlli fatti nei locali hanno sempre dimostrato l’adeguamento ai protocolli di sicurezza e distanziamento”, ha continuato Cavion.

“La convivialità, nei limiti concessi, è al centro delle nostre attività. Gli appuntamenti serali sono la nostra forza, l’apertura all’ora di pranzo serve per coprire parte delle spese, tra l’altro tra smart working e distanziamenti anche in questa fascia oraria le presenze sono crollate dell’80%, e quella della domenica è un mero palliativo- ribadisce Malinverni-. Vorrei inoltre ricordare che i nostri settori hanno già subito uno stop a marzo e pagano indirettamente anche altre scelte come l’annullamento di fiere, congressi e cerimonie. Insomma, non sarà produttivo tenere accese le nostre cucine. E per molti vuol dire non riaccenderle più. Non si ci sentiamo e non siamo untori. Di fatto siamo in lockdown a cui si aggiunge la beffa del Trentino. Mi chiedono solo se non varrebbe la pena, prima di assumere un provvedimento, di ascoltare gli operatori coinvolti”.

“Non solo, stoppare noi vuol dire bloccare anche altre attività legate alla filiera dell’agro alimentare e altre attività economiche che ruotano attorno alla somministrazione, quindi altre impese si troveranno ad affrontare qualche difficoltà – prosegue Olivieri-. E con un clima di timore e coprifuoco la vendita da asporto potrebbe essere scoraggiata. Se c’è un obiettivo condiviso tutti siamo pronti ad andare in quella direzione anche a costo di fare duri sacrifici, ma ci vogliono regole chiare, condivise e uguali per tutti. Chi di sera va al ristorante o in pasticceria lo fa con la sua auto, in sicurezza, non pigiato e in situazioni fuori controllo come spesso nei mezzi pubblici. So che si tratta di scelte difficili, che la situazione è inedita ma con questo non si può giustificare tutto. Come faccio a dire ai miei collaboratori: da domani chiudiamo siete in cassa integrazione? Persone che vedo ogni giorno, di cui conoscono magari la famiglia? Qualcuno ha pensato anche a questi aspetti prima di puntare il dito contro di noi?”.

“La sensazione è che lo Stato, non in grado di presidiare chi non ha rispettato e non rispetta le regole, nei locali o per strada, pensi di ‘governare’ il problema della crescita dei contagi agendo a monte e di conseguenza mettendo in difficoltà anche chi le regole le rispetta. Le derive di queste scelte rischiando di portare a rassegnazione diffusa, chiusura di attività, perdite di posti di lavoro, instabilità economica e sociale”, aggiunge Cavion. Il vice presidente ha voluto inoltre ribadire: “Gli artigiani non chiedono aiuti ma solo poter tornare a fare il loro mestiere, al meglio come sempre. I danni che si arrecano con scelte come quelle del nuovo Dcpm non possono essere risarciti solo con misure compensative di ristoro economico. E anche in questo caso ci chiediamo perché sia stato emanato prima il Decreto, e poi le misure economiche a sostegno delle attività. Logica vorrebbe che avvenisse il contrario. Quanto all’entità di questi ristori non crediamo siano sufficienti e vorremmo sapere chiaramente come, e quando, arriveranno, perché oltre al danno temiamo la beffa delle consuete pastoie burocratiche”.