Covid, Walter Siti: “la sfortuna di essere un 70enne italiano durante la pandemia”

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Walter Siti premio Strega nel 2013
Walter Siti premio Strega nel 2013

Siamo quelli meno vaccinati tra tutti. Gli ultrasettantenni sono già in pensione ma non sono ancora così malridotti, in genere, da esser finiti nelle case di riposo.

Se chiedo al mio medico di base, o al farmacista di fiducia, di dirmi una data approssimativa in cui sarò vaccinato, spalancano le braccia e rispondono “siamo in Lombardia”.

Dunque aspetteremo con pazienza il nostro turno, noi tra i settanta e gli ottanta, saremo gli ultimi, d’accordo. Ma almeno risparmiateci l’ipocrisia di strapparvi i capelli di fronte al numero dei morti giornalieri (quasi sempre noi): non dite che è intollerabile perché lo state tollerando benissimo.

Non avevo mai pensato alla mia età (settantaquattro anni) come a una sfortuna. Ho sempre considerato la vecchiaia una disgrazia inevitabile, in cui il corpo comincia a scricchiolare, fare sesso diventa sempre più un’eccezione, gli entusiasmi si spengono nello scetticismo dell’esperienza. Ridevo su chi chiamava “adulti” gli ultrasettantenni, come se la parola “vecchio” fosse una maleducazione e un’offesa. La vecchiaia è una menomazione progressiva, come se (diceva Leopardi) agli dèi non bastasse averci affibbiato la morte ma si fossero divertiti a inventare una stagione della vita più dura ancora della morte, in cui il desiderio rimane intatto mentre si sono seccate le fonti del piacere. Condizione umana, niente di più, per la quale gli ottanta sono peggio dei settanta. Invece no.

Adesso avere tra i settanta e gli ottant’anni è una sfortuna peggiore che averne ottantacinque, e in più una sfortuna geograficamente direzionata, una sfortuna italiana. Siamo quelli meno vaccinati tra tutti. Gli ultrasettantenni sono già in pensione ma non sono ancora così malridotti, in genere, da esser finiti nelle case di riposo. Se chiedo al mio medico di base, o al farmacista di fiducia, di dirmi una data approssimativa in cui sarò vaccinato, spalancano le braccia e rispondono “siamo in Lombardia”; e io che credevo, trasferendomi da Roma a Milano, di esser venuto in un posto dove in quanto vecchio sarei stato curato al meglio. Una sfortuna lombarda.

I giovani producono, le categorie hanno ragione a farsi avanti. Gli insegnanti sono a contatto coi nostri nipoti, i cassieri del supermercato si relazionano con chi va a comprarsi il cibo necessario; gli avvocati stanno a portata di pubblico, i politici pure, per non parlare degli autisti, dei conduttori televisivi e dei giornalisti che fanno servizi di inchiesta e devono per forza andare dove accadono le cose.
Gli operai devono lavorare in presenza perché la catena di montaggio non può fermarsi. Ogni categoria ha un piccolo o grande potere contrattuale, sancito dalla possibilità di sciopero: i magistrati possono sospendere le sedute, le cassiere possono smettere di stare alla cassa e gli operai possono abbandonare il tornio, i vecchi non possono smettere di essere vecchi.

Certo, i nonni potrebbero rifiutarsi di raccontare le storie ai nipoti, la nonna potrebbe non fare i tortellini per Pasqua, ma sarebbero considerati (da loro per primi) comportamenti disumani. Si salvano solo i miliardari che possono comprare una farm in Nuova Zelanda e lì decidere di trascorrere gli ultimi anni di vita. Ma i vecchi ricchi, si sa, se la cavano sempre: loro si sono già vaccinati negli States o a Dubai.

Dunque aspetteremo con pazienza il nostro turno, noi tra i settanta e gli ottanta, saremo gli ultimi, d’accordo. Ma almeno risparmiateci l’ipocrisia di strapparvi i capelli di fronte al numero dei morti giornalieri (quasi sempre noi): non dite che è intollerabile perché lo state tollerando benissimo. Tant’è vero che accade.

Walter Siti su Domani