A qualcuno piace Covid. Dal souvenir di Venezia al bar nel Padovano. Fino al gioiello di lusso

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Covid è una parola infausta che abbiamo imparato tutti a conoscere nel corso di quest’anno. Una parola, come “Aids, eroina, mafia, bomba, Isis, terremoto”, che preferiremmo usare e sentire usata il meno possibile. Ma che volenti o nolenti è entrata anche nel nostro linguaggio comune. E così, un po’ come accade per i ristoranti che si chiamano “Mafia” o le magliette “Escobar”, in alcuni casi questo nome viene usato per oggetti e luoghi di uso comune, come fosse un marchio, un brand, una moda. È il caso del souvenir di vetro chiamato Covid-19 ed esposto nella vetrina di un bacaro a Venezia.

 

Nella Bassa Padovana invece è stato aperto un bar e sala slot che si chiama “Covid-19”. Il sindaco del paese ha poi fatto togliere l’insegna in modo che non fosse visibile in strada, ufficialmente per mancanza di permessi e non per “censura”.

 

Infine da Roma arriva la nuova creazione dell’artista Barbara Abaterusso in collaborazione con il maestro orafo Paolo Mangano: il primo gioiello Co-Vid. Un ciondolo in argento nero
tempestato di rubini e zaffiri gialli.  “Durante il lockdown cercavo un’immagine che potesse fermare il tempo, un piccolo oggetto d’arte capace di sublimare le emozioni di quei giorni e offrirsi al mondo come simbolo di rinascita” spiega l’artista in una nota.

 

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