Caso Salvini e Commissione d’inchiesta su uso politico della giustizia, ex magistrato Schiavon a on. Zanettin: acuirebbe solo le polemiche

Giovanni Schiavon (foto di archivio de Il Corriere del Veneto)
Giovanni Schiavon (foto di archivio de Il Corriere del Veneto)

Ho preso atto della proposta dell’on. Zanettin (cfr “Centrodestra vuole Commissione parlamentare d’inchiesta su uso politico magistratura: on. Zanettin polemizza con Di Matteo, Pd e M5S“) di affidare ad una commissione parlamentare di inchiesta il compito di approfondire la tematica dei rapporti fra magistratura e politica e dell’ipotizzata esistenza di un uso politico della giustizia.

Pierantonio Zanettin commissione Giustizia
Pierantonio Zanettin commissione Giustizia

L’idea, per quel che mi è dato di capire, è stata rafforzata anche dalla recente vicenda del senatore Salvini che, per reati sostanzialmente identici, è stato, una prima volta, fatto oggetto di richiesta di archiviazione dal Procuratore della Repubblica di Catania e, invece, una seconda volta rinviato a giudizio da parte del Gup di Palermo (per il caso Open Arms, conseguente al rifiuto dell’allora ministro dell’Interno di consentire l’attracco al porto di Lampedusa di una  nave ONG con 147 migranti a bordo).

Sembrerebbe trattarsi di un (ordinario, purtroppo) contrasto decisionale tra uffici giudiziari se non fosse che a questa specifica vicenda sono seguite mille polemiche e reazioni da parte del mondo politico e dei rappresentanti delle istituzioni.

Caso Gregoretti, Salvini, Conte e Di Maio
Caso Gregoretti, Salvini, Conte e Di Maio

Non conosco, nel caso specifico, le motivazioni adottate, nei due diversi procedimenti, dai magistrati, ma ritengo giusto fermarmi ad una fondamentale osservazione: la decisione del ministro Salvini (di negare alla nave ONG l’attracco nel porto di Lampedusa) non era espressione di una volontà, a lui solo riferibile, di contrastare uno dei tanti episodi di immigrazione clandestina, ma era l’espressione di una precisa linea politica, adottata dal suo governo e tratta da un programma (condivisibile o meno che fosse) annunciato ai cittadini e da costoro approvato in un contesto elettorale. Quindi, quella decisione, pur se non fosse stata specificamente discussa e approvata nel consiglio dei ministri, era, pur sempre, riferibile al Governo Italiano e non ad un suo solo componente; ed era, dunque, la coerente espressione di un programma politico di un Paese sovrano. In quanto tale, essa assumeva una connotazione discrezionale, che non avrebbe potuto essere oggetto di censura da parte dell’autorità giudiziaria, il cui sindacato deve fermarsi quando (in assenza di evidenti violazioni di diritti umani, come – se ben ricordo – nel caso dei 147 migranti imbarcati sulla nave Open Arms) una decisione  sia espressione di una legittima e insindacabile scelta della politica nazionale, che anche la magistratura deve rispettare.

Le funzioni connesse alla tutela dei diritti fondamentali delle persone possono, a volte, condurre l’autorità giudiziaria (che ad essa è preposta) ad adottare scelte di natura parapolitica e ad intraprendere decisioni che possono, esse stesse, essere suscettibili di appannare il ruolo di terzietà e di indipendenza dell’ordine giudiziario. Temo, però, che una commissione parlamentare di inchiesta non abbia alcuna possibilità di giungere ad una costruttiva (oltre che univoca) conclusione su questo delicatissimo e complesso tema, la cui soluzione non può che essere lasciata alla sensibilità, alla cultura, all’indipendenza e alla professionalità dei singoli magistrati. Al di là delle intenzioni del proponente (sicuramente ottime) una commissione parlamentare di indagine finirebbe per acuire non di poco le polemiche.