Caso Di Matteo, il botta e risposta tra Zanettin e Bonafede in aula. Il Ministro si difende: “massima determinazione nella lotta alle mafie”

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Il ministro Alfonso Bonafede
Il ministro Alfonso Bonafede

In Parlamento si è accesa la discussione sulla vicenda del giudice Di Matteo relativa alla nomina del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria nel 2018 e alla recente sostituzione dei vertici del medesimo dipartimento. Dopo l’intervento di ieri di Zanettin ecco ora il botta e risposta col Ministro della Giustizia Bonafede in aula di Montecitorio

PIERANTONIO ZANETTIN (FI). Ministro Bonafede, dopo lo scontro assai violento che ha avuto domenica scorsa con il dottor Di Matteo, è giunto il momento di fare chiarezza. Nessuno crede alla versione dell’incarico prestigioso al Ministero che lei ha offerto al dottor Di Matteo in alternativa al DAP, l’incarico di Giovanni Falcone. Io e lei siamo sufficientemente esperti di cose ministeriali per sapere che, a seguito di una serie di riforme che ci sono state in questi venti anni, le direzioni generali di oggi sono molto diverse dalle direzioni generali del passato. Oggi non sono incarichi apicali, non sono soggetti a spoil system, non sono incarichi di prima linea contro la mafia. Era quindi evidente che il dottor Di Matteo avrebbe rifiutato quell’incarico che lei gli proponeva in alternativa al DAP. Allora lei ci deve spiegare perché, Ministro, in 48 ore prima ha offerto l’incarico del DAP al dottor Di Matteo e poi lo ha rifiutato, è il momento di fare chiarezza. Il MoVimento 5 Stelle, quando era nei banchi dell’opposizione, si caratterizzava per il principio della trasparenza, invocava trasparenza. È il momento di dare trasparenza al Paese, al Parlamento, ai cittadini italiani (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

ALFONSO BONAFEDE, Ministro della Giustizia. Grazie, Presidente. Ringrazio gli interroganti perché mi danno la possibilità di chiarire alcuni punti importanti, che sono certo contribuiranno ad evitare l’ulteriore degenerazione del dibattito politico surreale di questi giorni. Mi viene chiesto innanzitutto, letteralmente, se e quali interferenze si siano manifestate sulla nomina di capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria nel 2018. La risposta è molto semplice: nel giugno 2018 non vi fu alcuna interferenza, diretta o indiretta, nella nomina del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

Riguardo all’altra domanda posta, ovvero quali valutazioni di opportunità politica abbiano suggerito di desistere dal mio iniziale intendimento di affidare l’incarico a Di Matteo, informo che, semplicemente, nelle normali interlocuzioni per la formazione della squadra, avevo intenzione di coinvolgere il dottor Di Matteo, conoscendo il suo profilo professionale e la sua carriera come magistrato antimafia. Per questo pensai a due ruoli per lui: o il vertice dell’amministrazione penitenziaria oppure un ruolo che fosse in qualche modo equivalente alla posizione ricoperta a suo tempo da Giovanni Falcone, a seguito di riorganizzazione.

Mi convinsi, dopo una prima telefonata e in occasione del primo incontro al Ministero, che questa seconda opzione fosse la più giusta, perché avrebbe consentito al dottor Di Matteo di lavorare in via Arenula al mio fianco. Inoltre, ritenevo che questa decisione avrebbe consegnato un messaggio chiaro e inequivocabile per tutte le mafie. Come è ormai noto, non ci furono i presupposti per realizzare l’auspicata collaborazione (Commenti); del pari, anche con riferimento alla recente nomina del nuovo capo del Dipartimento, ho seguito mie valutazioni personali nella scelta, la cui discrezionalità rivendico. Ogni altra ipotesi o illazione emersa nel dibattito politico di questi giorni è del tutto campata in aria, perché, come risulta anche dalla ricostruzione temporale dei fatti, le dichiarazioni di alcuni boss erano già note al Ministero dal 9 giugno 2018, e quindi ben prima di ogni interlocuzione da me avuta con il diretto interessato.

Tanto premesso, la linea di azione che ho seguito come Ministro della Giustizia è stata è e sarà sempre improntata alla massima determinazione nella lotta alle mafie.

Basta semplicemente scorrere ogni parola di ogni legge che ho portato all’approvazione in questi due anni, dalla legge cosiddetta Spazza corrotti fino all’ultimo decreto-legge che impone il coinvolgimento della Direzione nazionale e delle direzioni distrettuali antimafia sulle richieste di scarcerazione. E, sempre a tal proposito, voglio annunciare qui al Parlamento che è in cantiere un decreto-legge che permetterà ai giudici, alla luce del nuovo quadro sanitario, di rivalutare l’attuale persistenza dei presupposti per le scarcerazioni

(Una voce dai banchi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente: “Ma li avete fatti uscire! Vergogna!”) di detenuti di alta sicurezza e al regime di cui al 41-bis

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