Carcere e scuole, il progetto di Ristretti Orizzonti con lo scrittore Gianrico Carofiglio

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Carcere e scuole: lo scrittore Gianrico Carofiglio ha chiuso il progetto di “Ristretti Orizzonti”parlando, a più di 400 studenti e insegnanti in videoconferenza, dell’importanza di “trovare le parole adeguate”, ma anche “della gentilezza e del coraggio” necessari per comunicare di Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti.

“Carcere e scuole: educazione alla legalità” è un progetto complesso, che compie 18 anni e ha attraversato tempi difficili in cui nessuno avrebbe scommesso sulla sua sopravvivenza, perché un progetto con al centro le storie delle persone detenute non ha vita facile. Eppure, ce l’abbiamo fatta anche questa volta, nonostante la sofferenza dell’isolamento contro il virus, perché davvero nessuno vuole rinunciare a questo progetto. Per premiare i ragazzi vincitori del concorso di scrittura, sono intervenuti in videoconferenza l’assessora alle politiche sociali del Comune di Padova, Marta Nalin, e il direttore del carcere, Claudio Mazzeo.
In giorni di scuola strani, quando le lezioni si fanno a distanza e può sembrare un modo meccanico e senza calore umano, è accaduto invece che siamo riusciti ad aprire tanti dialoghi altrettanto “strani”,  che hanno messo insieme persone che dovrebbero essere “nemiche” e invece hanno scelto di parlarsi. Abbiamo fatto in questi due mesi 35 videoconferenze. Abbiamo ricevuto circa 250 testi di studenti per il concorso di scrittura.

Hanno portato la loro testimonianza, oltre a persone detenute in misura alternativa (Chaolin) o che hanno finito di scontare la pena (Bruno, Pasquale, Lorenzo), famigliari di persone detenute (Francesca e Suela), volontari, insegnanti e studenti, un mediatore penale, Carlo Riccardi, la magistrata di Sorveglianza Lara Fortuna, molti famigliari di vittime di reato: Silvia Giralucci, Benedetta Tobagi, Giorgio Bazzega, Giovanni Bachelet, Fiammetta Borsellino, Deborah Cartisano, Claudia Francardi, Lucia Di Mauro Montanino, Agnese Moro. E molti di loro sono anche intervenuti alla Giornata conclusiva, intervistati da Silvia Giralucci.

Un progetto così innovativo aveva anche bisogno di reinventare le parole della comunicazione: e per questo abbiamo deciso di chiudere con una videoconferenza in cui Gianrico Carofiglio, magistrato e scrittore, autore tra l’altro del romanzo “La misura del tempo” (candidato al premio Strega) ha dialogato sul valore delle parole: “Maggiore chiarezza e precisione delle parole significano più democrazia. Minore chiarezza e maggiore oscurità implicano meno democrazia. (…) Parole in cattiva salute mettono a rischio la democrazia”. E ha parlato anche del suo nuovo libro, che uscirà ad agosto, “Della gentilezza e del coraggio”. Parole che ci piace usare anche per un progetto come il nostro, che fa conoscere realtà difficili come quella delle pene e del carcere, con il coraggio di raccontare esperienze dure, e la gentilezza di farlo senza offendere nessuno.

Quella che segue è la rimodulazione del progetto che abbiamo portato avanti in molte scuole:
Alle classi che ancora non avevano fatto nessun incontro abbiamo proposto l’incontro “tradizionale”, gestito da volontari, con le testimonianze di persone che hanno finito di scontare la pena, un detenuto in affidamento, figlie di detenuti.

Alle classi che hanno fatto l’incontro a scuola, o anche l’incontro in carcere: abbiamo proposto un altro tipo di incontro, in cui qualcuno che ha finito di scontare la pena si è confrontato con vittime di reato e famigliari di detenuti. Il tema è quindi il senso che dovrebbe avere la pena in una idea di giustizia “riparativa”.

Hanno portato la loro testimonianza:

Silvia Giralucci, a cui nel 1974 a Padova, quando lei aveva tre anni, le Brigate Rosse hanno ucciso il padre. Di sé dice “Credo che se negli anni sono riuscita a diventare una vittima non rancorosa e non arrabbiata questo lo devo agli incontri che ho fatto in carcere, alla forma di mediazione indiretta che è stato per me frequentare i convegni e la redazione di Ristretti”.
Il suo primo libro, L’inferno sono gli altri, è un viaggio personale alla ricerca del padre nella memoria divisa degli anni Settanta. Lo stesso argomento è anche il tema del suo primo film, Sfiorando il muro, di cui è autrice e co-regista.

Giovanni Bachelet, Ordinario di Fisica alla Sapienza, figlio del giurista Vittorio Bachelet, assassinato dalle Brigate Rosse nel 1980. Al funerale di suo padre disse: “Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà perché, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri”.

Fiammetta Borsellino, figlia minore del magistrato Paolo Borsellino, ucciso dalla Mafia nella strage di via D’Amelio il 19 luglio 1992, quando persero la vita anche i cinque agenti della scorta. Gli attentati a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino hanno rappresentato il punto più alto dell’emergenza criminalità nel nostro Paese. Dice Fiammetta che “nella lotta alla mafia non mi piacciono le passerelle, e diffido degli slogan. Piuttosto, ci vogliono gesti concreti. Li aspettiamo ancora. Qualsiasi impegno nei confronti della lotta alla criminalità organizzata può essere efficace solo se svolto con la massima sobrietà. Nei gesti e nelle parole”.

Deborah Cartisano, figlia di Lollò Cartisano, il fotografo di Bovalino, in Calabria, sequestrato nel 1993 ed ucciso dalla ‘ndrangheta perché si era rifiutato di pagare il pizzo. Dieci anni ci sono voluti per ritrovare il suo cadavere.

Dice Deborah: “Noi famigliari purtroppo a volte incontriamo l’altra parte soltanto nelle aule dei tribunali, e sono incontri a cui arriviamo impreparati, in cui arriviamo incattiviti da tutte e due le parti. Io penso che questo non sia giusto. Ho sempre desiderato che le persone che avevano ucciso mio padre avessero la possibilità di trasformare quello che era successo in un vero pentimento e in una trasformazione della loro vita”.

Giorgio Bazzega, figlio del maresciallo Sergio Bazzega, ucciso nel 1976 in un conflitto a fuoco con un giovanissimo brigatista negli anni tragici della lotta armata in Italia, quando lui di anni ne aveva poco più di due. “La vittima, in generale, sente di avere il monopolio del dolore”: sono parole di Giorgio Bazzega, che ha per anni convissuto con la rabbia, il rancore, la droga usata come “anestetico”, ma poi ha incontrato sulla sua strada esperienze importanti che lo hanno portato a fare la conoscenza con una idea diversa della giustizia, quella che al male sceglie di non rispondere con altro male.

Benedetta Tobagi, giornalista e scrittrice, figlia di Walter Tobagi, il giornalista del Corriere della Sera assassinato dai terroristi il 28 maggio 1980 a Milano. «Quando ho incontrato i detenuti del carcere di Padova l’ho fatto con l’idea di fare qualcosa di utile. Quando un tuo familiare viene ucciso è come se qualcosa dentro te muoia per sempre ed è strano, ma quello che ti viene da fare è qualcosa di positivo. E così ho pensato che se quell’incontro poteva aiutare qualcuno era giusto che lo facessi», ha detto agli studenti Benedetta.

Claudia Francardi: nel 2011, una pattuglia di carabinieri ha fermato alcuni ragazzi che stavano andando a un rave party. Mentre controllavano i documenti, uno di loro, Matteo, ha preso un bastone, ha colpito i due carabinieri ed è scappato. Antonio, il marito di Claudia, è morto dopo un anno di coma. Nel frattempo Matteo è stato arrestato, processato e condannato.

Un giorno Irene, la mamma di Matteo, ha scritto una lettera a Claudia, senza nessun intento di cercare vie di fuga per il figlio. Anzi Irene è partita proprio dal dire che per quello che aveva fatto suo figlio lei si sentiva responsabile. E da lì è nato un percorso che Irene e Claudia stanno facendo insieme dopo aver dato vita a un’associazione di volontariato.

Lucia Annibali: è una giovane avvocatessa di Pesaro, sfigurata dall’acido che le è stato tirato in faccia il 16 aprile 2013. Per quel terribile atto sono stati condannati due uomini, ritenuti gli esecutori del gesto, e un terzo, ritenuto il mandante, che con Lucia aveva avuto una tormentata relazione. È autrice con Giusi Fasano del libro “Io ci sono. La mia storia di «non» amore”, in cui ripercorre la sua vicenda con quell’uomo, fino all’aggressione finale, e poi i mesi bui e dolorosissimi, segnati anche dal rischio di rimanere cieca.

Lucia Di Mauro Montanino è la moglie di Gaetano Montanino, guardia giurata che a Napoli, nel corso di una rapina, nel 2009, è stata assassinata da Antonio, un ragazzo di neanche 17 anni, che dopo qualche mese è diventato padre. Lucia ora ha praticamente “adottato” la famiglia del “carnefice”.

Francesca R., figlia di un detenuto, Tommaso, ex esponente di spicco della ‘Ndrangheta, che è in carcere a Padova, partecipa al progetto scuole/carcere e ha preso nettamente le distanze dalla criminalità organizzata. Francesca racconta la sua esperienza dei colloqui in carcere, in particolare nel regime di 41 bis con il vetro divisorio, e poi le difficoltà di inserirsi in una società, sempre pronta a giudicare e a far pagare ai famigliari le responsabilità del loro caro detenuto

Suela M.: figlia di un detenuto che ha finito di scontare una lunghissima pena, racconta le difficoltà di una bambina albanese emigrata in Italia e costretta a vivere per anni la difficoltà di andare a trovare un padre detenuto e doversi anche sentire “colpevole” di questa condizione di “figlia di…”.

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