Caporalato e precariato: tra tutti i problemi i comunisti scelgano il lavoro e su un progetto cerchino alleanze

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Caporalato e precariato
Caporalato e precariato

Una premessa all’articolo de Il Fatto Quotidiano “Caporalato, viaggio tra i campi del Ragusano: migranti pagati 2,5 euro all’ora. Nelle serre anche ragazzini (che non vanno a scuola)” linkato e allegato in fondo*.

Stento a capire lo stupore ricorrente dei giornalisti per una retribuzione oraria di 2,50 – 3 euro, quando anche “fuori dall’agricoltura” (per esempio negli studi professionali) i nuovi assunti (italiani o stranieri) vengono costretti a lavorare in nero o, quando va bene, ad aprire Partita IVA per lavorare a tempo pieno con una retribuzione onnicomprensiva di poche centinaia di euro al mese (600-800 euro sono da considerarsi quasi “una fortuna”) e, quindi, con cifre paragonabili se non minori a quelle che “fanno notizia”.

Infatti proprio non capisco lo stupore giornalistico sulle retribuzioni e perché non viene denunciato il “normale” sfruttamento intensivo che i padroni attuano nei confronti di chi lavora a prescindere dalla nazionalità, dall’età, dal sesso (vuoi vedere che, questo sfruttamento generalizzato, ce lo faranno passare come qualcosa di giusto in ottemperanza con l’art. 3 della Costituzione?).

Certo le condizioni denunciate nell’articolo sono da servi della gleba, prossime alla schiavitù, ma sarebbe interessante approfondire quale sia la distanza tra queste condizioni e quelle che sono costretti a subire i precari in ogni settore e in ogni territorio del paese. In definitiva vale per tutti la minaccia “zitto e lavora, altrimenti quella è la porta”.

Ma, andiamo avanti.

C’è una cosa che, invece, mi crea sconcerto e rabbia. E’ l’assenza nell’articolo delle maggiori sigle sindacali (mi riferisco a quelle delle organizzazioni “più grandi e famose”, so che USB è attiva tra i braccianti sfruttati e so, anche, che USB e altri minori difficilmente vengono citati dalla grande informazione nazionale) che non vengono mai citati. Una cosa imbarazzante. Non credo che sia una “cattiveria” del giornalista o una sua “svista”. E’, piuttosto, qualcosa ormai comune ed abituale: CGIL, CISL e UIL sono impegnati su altri fronti e spesso solo a parole. E’ mai possibile, mi chiedo, che sia la diocesi di Ragusa e la Caritas a fare qualcosa, a denunciare uno sfruttamento inumano (che, ripeto, non è isolato nei campi siciliani o pugliesi ma è ben radicato in ogni settore produttivo – o meno – e in ogni territorio del nostro paese).

È mai possibile che sia solo (o prevalentemente) la chiesa a farsi sentire, ad agire e che le organizzazioni sociali e politiche e, anche, la cosiddetta società civile, siano inerti, indifferenti, assenti.

Questa è anche un’autocritica che ci dobbiamo fare noi comunisti. Siamo troppo spesso attratti da quella che consideriamo la grande politica, dalla teoria, dai tatticismi, dalle alleanze con questo o quello che possano consentire di raggiungere qualche posto nelle istituzioni. Siamo talmente impegnati a crederci chissà che cosa che non ci rendiamo conto che siamo deboli e divisi (spesso proprio per conflitti spesso miserabili e, francamente, malinconici) e che dobbiamo realisticamente scegliere dove impegnarci e dove impegnare la nostra organizzazione e le nostre intelligenze.

Invece di inseguire tutti i problemi che appaiono all’orizzonte, saltando da uno all’altro quasi sempre senza risultati, dobbiamo sceglierne uno (al massimo un paio) e avere un progetto politico credibile e una pianificazione seria che ci permetta di spostare rompere l’equilibrio tra indifferenza e indignazione fine a se stessa (quella, per dire, che nasce e muore in pochi minuti, il tempo di fare un comunicato).

Il nostri impegno sia sul fronte del lavoro. Abbiamo le capacità per costruire un progetto di sistema alternativo all’attuale. Un progetto realmente anticapitalista. Cerchiamo di averne anche la forza. Questa deve essere la priorità del nostro Partito. Da questo devono derivare le altre elaborazioni che dobbiamo fare, dalla politica culturale alla lotta per lo sviluppo dello Stato Sociale. E su questo si dovranno valutare le alleanze e le collaborazioni con altre forze politiche e sociali. Non ci possono essere scorciatoie.

PS: Anche in agosto si è continuato a morire nei luoghi di lavoro. A ieri sera i morti da inizio anno erano 437 (892 se si considerano anche quelli in itinere, 34 nei primi 17 giorni del mese), ma dobbiamo rendercene conto con dolorosa amarezza, questo massacro non interessa niente a nessuno (o a troppo pochi).

Giorgio Langella, segretario PCI Veneto

*ilfattoquotidiano.it – 18 agosto 2019

Caporalato, viaggio tra i campi del Ragusano: migranti pagati 2,5 euro all’ora. Nelle serre anche ragazzini (che non vanno a scuola) 

di Carmelo Riccotti La Rocca

 

Marina di Acate, minuscolo borgo marinaro tra Vittoria e Gela, è una sorta di capitale del caporalato. Qui lavorano migliaia di persone, soprattutto di origine romena e magrebina: in quattro anni la Caritas ne ha censite circa duemila, ma i numeri sono probabilmente superiori. Secondo un report pubblicato nel 2018 dalla diocesi di Ragusa, nella piccola frazione marinara un’azienda agricola su due utilizza lavoratori in modo illegale e paga gli operai con paghe comprese tra i 2,5 e i 3 euro l’ora

Ha solo 15 anni ma non passerà un’estate come gli altri. Niente mare o serate con gli amici per Giulia(nome di fantasia), una ragazzina di originerom che ogni giorno passa dieci ore nelle serre a raccogliere pomodori. Anzi ogni notte, visto che d’estate in Siciliafa molto caldo: la raccolta, quindi si fa dopo il tramonto. In cambio riceverà una trentina di euro: meno di tre per ogni ora lavorata.

Lavoratori sfruttati da un’azienda su due –È una storia di miseria e sfruttamento quella che ogni giorno si ripete nei campi in provincia di Ragusa. Marina di Acate, minuscolo borgo marinaro tra Vittoriae Gela, è una sorta di capitale del caporalato. Qui lavorano migliaia di persone, soprattutto di origine romena e magrebina: in quattro anni la Caritasne ha censite circa 2mila, ma i numeri sono probabilmente superiori. Secondo un report pubblicato nel 2018 dalla diocesi di Ragusa, nella piccola frazione marinara un’azienda agricola su due utilizza lavoratori in modo illegale e paga gli operai con paghe comprese tra i 2,5 e i 3 euro l’ora. Rispetto ad altre zone del Paese, dove il lavoro nelle campagne ha soprattutto caratteristiche stagionali, nel Ragusano il fenomeno del caporalato è più strutturale: ogni anno, infatti, nelle serre ci sono due o tre campagne produttive per le quali servono agricoltori attivi per almeno 250 giorni all’anno. È per questo motivo che da queste parti sono arrivati tantissime persone dalla Romania, dalla Tunisiae dal Marocco. Spesso hanno portato con loro l’intera famiglia: nonni, genitori, e figli.

Niente scuolabus: ragazzini restano in campagna –Anche a casa di Giulia sono in tanti: nove persone, tutte impiegate nelle serre, a parte la nonna e la mamma, che ha da poco avuto un bambino. I soldi in casa li gestisce il padre: quasi tutti se ne vanno per mantenere la famiglia, qualche spicciolo viene risparmiato per poter ritornare un giorno nel suo paese di origine. “Quando avrò 18 anni ritornerò ad inseguire i miei sogni e forse continuerò gli studi”, racconta Giulia. Che fino a poco tempo fa poteva permettersi il lusso di andare a scuola. Faceva parte di un gruppo di 15 ragazzini – tra i 6 e i 15 anni – che erano rientrati in un progetto di trasporto scolastico finanziato dalla Chiesa Valdese di Palermo. Avevano iniziato un percorso all’interno dell’IstitutoGiovanni XXIII di Vittoria, partecipando alle attività scolastiche ed extrascolastiche, integrandosi perfettamente con gli altri bambini. Si parlava di allargare il servizio ad altri bambini, invece, nel luglio 2018 il progetto è terminato e di quei 15 ragazzini oggi solo in tre continuano ad andare a scuola. Il servizio di scuolabus, infatti, non copre le zone in cui abitano, così hanno dovuto interrompere gli studi. E adesso passano l’intera adolescenza tra i campi di pomodoro e le abitazioni fatiscenti .”Non mi rassegno al fatto che questi ragazzini hanno dovuto lasciare la scuola. Sto cercando di fare il possibile, ma serve una rete tra Istituti e Comuni”, dice la dirigente scolastica Vittoria Lombardo. “Abbiamo posto la questione alla Prefettura che si è sempre mostrata molto attenta e sensibile a questa tematica. Occorre potenziare i servizi, quei ragazzini hanno il diritto di vivere pienamente l’infanzia oggi negata”, spiegaDomenico Leggio, direttore della Caritas di Ragusa.

Latrine affittate a caro prezzo, vestiti bruciati da prodotti chimici –Ed è proprio la Caritas a documentare quello che succede nelle campagne del Ragusano. Dove molte famiglie – a volte composte anche da più di dieci persone – vivono all’interno di catapecchie, con i bagni che generalmente si trovano all’esterno e sono delle vere e proprie latrine. Le case, che sono poi dei magazzini, vengono concesse in cambio di somme esorbitanti se paragonati allo stato in cui si trovano: alcuni arrivano a pagare anche 400 euro di affitto.Senza acqua e luce, confort che hanno un costo a parte, decurtato direttamente dal salario. I proprietari in questo caso giocano sul fatto che gli affittuari hanno bisiogno di fissare in quei casolari la propria residenza, condizione fondamentale per i non comunitari per aver rinnovato il permesso di soggiorno. “In queste zone c’è un caporalato con delle caratteristiche più sfumate rispetto al resto d’Italia, nel senso che la gestione del lavoro in serra, con l’impiego di poche persone per un periodo di tempo ampio, fa sì che nei campi di lavoro vi siano anche i caporali, ma che assumono spesso il ruolo di caposquadra. Quindi i caporali lavorano con le stesse persone che reclutano. In passato abbiamo registrato anche forme di caporalato più pesanti soprattutto nei confronti dei rom che venivanoreclutati in patria e privati dei documentie, addirittura, anche della paga”, spiega Vincenzo La Monica, responsabile immigrazione della Caritas. Il direttore Leggio racconta anche altro: richieste continue di indumenti da parte dei migranti. Il motivo? “I prodotti chimici utilizzati in agricoltura bruciano letteralmente i vestiti, quindi ne hanno bisogno in gran quantità. A molti diamo poi anche le scarpe da lavoro, visto che entrano nelle serre con calzature non adatte e spesso il nostro medico ha riscontrato delle ferite ai piedi”.

Il caporalato dei trasporti –Al caporalato per lavorare in serra, si aggiunge poi quello “dei trasporti”: sono quelli che si fanno pagare a caro prezzo per portare i lavoratori da casa a lavoro e viceversa. I prezzi salgono poi quando occorre raggiungere il centro abitato per fare la spesa o altri luoghi, come ad esempio l’ospedale:per andare da Vittoria a Ragusa possono volerci anche 50 euro, un giorno e mezzo di lavoro. La Monica spiega poi come esiste un tariffario diverso a seconda dell’origine del lavoratore: ai rom spettano 30 euro al giorno, mentre negli ultimi anni si è registrato un aumento per magrebini e albanesi, che arrivano a prendere anche a 40-45 euro. “Ma siamo ancora lontani dalla paga sindacale di 57 euro”, dice l’esponente della Caritas. A dare una scossa all’ambiente sono state negli ultimi anni anche le tante operazioni delle forze dell’ordine culminate con decine di arresti per sfruttamento della manodopera e, a volte, proprio dei bambini costretti a lavorare per qualche spicciolo. E senza studiare.

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Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.