Buonismi, razzismi e contributi tra pensioni di cittadinanza, forza lavoro e pensioni d’oro

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Non sono diritti acquisiti, ma privilegi rubati“, così il ministro del lavoro Luigi Di Maio risponde a chi si barrica dietro la presunta illegalità della cancellazione dei vitalizi. La lotta di classe assume uno dei suoi contorni più aspri proprio nel sistema pensionistico, e la guerra per l’appartenenza di ceto, che durante la vita attiva aveva avuto nel lavoro e nelle sue ingiustizie il motore della disuguaglianza, in prossimità della pensione mette interamente a nudo il suo scheletro. Ciò che il ministro promette, oltre alla cancellazione dei vitalizi, è la cancellazione delle pensioni d’oro, un ricalcolo su base contributiva degli assegni pensionistici.

Se si fanno due conti, il sistema previdenziale italiano è quello che grava sull’economia del proprio paese più di ogni altro in Europa, un fardello che prima o poi dimostrerà di essere assieme agli interessi passivi la voce maggiore del nostro debito pubblico. Nel sistema pensionistico si scontrano le visioni sociali e perciò la maggior parte della proposta politica, si discutono la missione e il senso della vita umana nella civiltà capitalista.

I diritti acquisiti riflettono in sé la costanza del furto di ogni generica proprietà privata, la violenza e l’abuso connaturati al lavoro e al suo ordine. Cosicché sarebbe opportuno che alla fine della vita attiva avesse anche termine la guerra senza quartiere che ogni uomo ha combattuto contro i suoi simili per l’inclusione nell’ordine sociale e per l’occupazione dei suoi gradi più alti. Al contrario, il periodo di tregua da questa lotta, invece di assicurare un riposo e una dignità a tutti, subisce lo strascico della belligeranza sociale e l’iniquità della divisione del lavoro.
Il tetto delle pensioni più ricche, come da filosofia a 5 stelle, dovrebbe procedere con i pavimenti di decenza al di sotto dei quali è indecoroso e incivile scendere, sebbene questa filosofia sia alleata del suo opposto che pretende con la flat tax di difendere le sostanze dei vincitori nell’ordine sociale dall’aggressione redistributiva dello Stato. Bisogna dire che col sistema previdenziale totalmente pubblico ogni cittadino vorrebbe ritagliata la politica dei contributi e delle assistenze a propria immagine, come coloro che durante il mio volantinaggio in corso Palladio non riuscivano ad accettare che, dopo 40 anni e passa di lavoro, il proprio assegno pensionistico fosse solo di poche centinaia di euro più alto di chi, conseguendo la pensione di cittadinanza, non aveva mai lavorato. A nulla valevano i richiami della parabola evangelica dei due debitori, a nulla quelli alla concezione marxista dei disoccupati come esercito industriale di riserva: gli intervistati erano molto sensibili alle riduzioni di chi percepiva di più, per niente propensi a elevare il reddito di chi percepiva di meno.
Ecco però, che il sistema scopre la sua debolezza: i crediti vantati dai dominanti sul resto della società non sono già accantonati, ma sono un debito costante delle nuove generazioni di lavoratori verso le vecchie. Nel frattempo l’alleanza dei dominanti con la parte femminile della società, incoraggiata ad inseguire una falsa emancipazione, oltre a procurare un’infinità di altri guasti, come ad esempio la distruzione della famiglia, ha causato una riduzione sensibile della fertilità media per donna. L’interesse di alcuni, allora, sarà quello di avere una forza lavoro già pronta per contribuire al sistema e pagare i propri crediti, infischiandosene se per questo le condizioni di lavoro peggiorino, non curandosi se regrediscano i salari. I dominanti nostrani, che patiscono l’invecchiamento della società italiana molto più dei loro corrispondenti europei, sono pronti a distruggere il muro nazionale al largo delle coste sicule, ma alzano un muro invalicabile tra la loro proprietà e la miseria di molti loro connazionali. Ecco allora la lotta di classe, ecco la natura del buonismo, di questo è fatta la critica odierna al sovranismo e le continue accuse di razzismo verso la maggior parte degli elettori.
La riduzione della popolazione, la decrescita del prodotto interno lordo e la sparizione del lavoro, attestano che i cittadini italiani hanno conseguito una ricchezza sufficiente in strutture e beni materiali. Purtroppo la differenza di ceto si fonda sul lavoro, sul suo disprezzo, sulla sua iniqua distribuzione. Ma oggi però è venuto meno il tradizionale flusso finanziario, il capitale che attraverso lo Stato dei padroni procede dal lavoro dei poveri verso l’agio dei benestanti; ed è dunque adesso il tempo di pagare meglio il lavoro, di redistribuire le risorse, anche se il nostro è uno dei paesi con la ricchezza privata più alta del pianeta.