Bolivia e la mentalità nel “nostro mondo”: non si può restare indifferenti

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Evo Morales e gli Indios della Bolivia
Evo Morales e gli Indios della Bolivia

Quello che sta succedendo in Bolivia è esempio di una mentalità ormai radicata nel “nostro mondo”. È la mentalità del compromesso ad ogni costo e della giustificazione delle cose più ignobili con l’affermazione che la colpa (la responsabilità) è di chi subisce i soprusi. Una mentalità che viene ingigantita dagli organi di informazione, soprattutto da quelli che si definiscono talmente obiettivi da non essere né da una parte né dall’altra. Una auto-definizione molto simile a quel “non essere né di destra né di sinistra” che vuole dire spesso, se non sempre, essere realmente e totalmente di destra.

Si leggano gli articoli su Evo Morales e la Bolivia che compaiono su siti di autorevoli giornali italiani e stranieri. Sono ammantati da un’ipocrisia di fondo. Sembrano tutti scritti da una stessa mano (e forse è così, il dubbio è molto forte). Si afferma che Morales è stato un grande presidente, il migliore che ha avuto la Bolivia. E poi si continua con un ma … che è premessa delle critiche. Che, si guardi bene, sono sempre le stesse. È rimasto al potere da troppo tempo (comunque sempre meno della Merkel, tanto per fare un esempio), doveva scendere a maggiori compromessi con la casta più ricca della nazione, doveva essere più cauto nel favorire i ceti più poveri e gli indigeni … fino ad arrivare a insinuare con il termine “cocalero” (che significa coltivatore di coca, risorsa fondamentale nei paesi andini) una certa attinenza con la droga e, magari, con i “narcos”. Oppure dire che forse, ma sono voci, può darsi che si siano stati brogli nelle ultime elezioni che lo hanno visto imporsi con oltre il 47% dei voti. Brogli non provati ma definiti molto probabili se non evidenti dal momento che alcuni sondaggi pre-elettorali lo vedevano comunque vincente ma con una percentuale più bassa. E, poi, ci spiegano che ci sono state manifestazioni pacifiche contro la sua vittoria, mentre adesso, dopo le “dimissioni” alle quali è stato costretto, i suoi sostenitori creano disordini che “naturalmente” vengono “contrastati” (si vedano le immagini e si nota la brutalità dell’intervento della polizia e dell’esercito, che aveva prima lasciato agli oppositori fare devastazioni e quant’altro) da polizia ed esercito “costretti” ad usare la forza per “rimettere ordine”.

Così passa il concetto che Evo Morales sia scappato, che la violenza dell’opposizione di destra (e fascista) sia stata una “giusta ribellione” e che, in definitiva, la colpa sia della vittima (anche se gode, come viene scritto, di grande consenso nei ceti più poveri e tra gli indigeni). In definitiva quello che è avvenuto in Bolivia non è un colpo di stato, ma un avvicendamento. Questo si vuol far credere, in barba a qualsiasi logica e a qualsiasi evidenza.

In definitiva, quello che ci viene rappresentato è un mondo grigio, senza prospettive. Un mondo nel quale la speranza deve scendere a patti con quella che ci dicono essere la realtà. Una situazione inamovibile, eterna, dove risulta impossibile cambiare qualcosa che non sia concesso da chi detiene il potere e la ricchezza. È una continua contrattazione al ribasso dove vince sempre ha accumulato enormi ricchezze grazie alla prevaricazione e allo sfruttamento. Ricchezze che non possono essere toccate e tanto meno distribuite a chi vive nella miseria (che, molto spesso se non sempre, è quello che ha permesso al privilegiato di accumularle).

Succede. Le tasse devono essere abbassate soprattutto ai più ricchi. I poveri devono accontentarsi della loro magnanimità. Se alzano la testa sono colpevoli. Se, poi, arrivano democraticamente a governare e modificano lo stato di cose presente, magari migliorando le condizioni generali di vita (cosa che si è verificato nella Bolivia di Evo Morales), vengono definiti dittatori e nemici della libertà. Ma libertà di chi? Dei ricchi, degli sfruttatori, dei padroni, dei lacchè di qualche potenza militare ed economica che si crede la padrona del mondo. Libertà di opprimere e di mantenere il popolo sottomesso, ignorante, sfruttato. Così succede in Bolivia con quello che è un vero e proprio colpo di stato dove il potere militare ha preso il sopravvento e ha esautorato il potere politico, mandando avanti bande criminali di reazionari e fascisti e compiacendo a quanto dettato dagli Stati Uniti. Perché, volenti o nolenti, questa è la verità: gli Stati Uniti non possono permettere che ci siano governi di sinistra e socialisti nel loro “cortile di casa”, specialmente se sono stati eletti democraticamente e tanto più se godono di grande consenso. L’impero non può permettere esempi di buon governo che non sia capitalista, ne va della stabilità eterna di un sistema che privilegia il profitto e sfrutta l’essere umano e l’ambiente.

Infine, quello che risulta abbastanza incredibile (e, per me, doloroso) è l’assenza di prese di posizione inequivocabili da parte delle organizzazioni politiche (sedicenti progressiste e di sinistra) che sono in Parlamento (mi risulta che solo il M5S abbia condannato il colpo di stato in Bolivia), dei sindacati più grandi e delle associazioni democratiche e antifasciste. Perché non si esprimono? Eppure materia per avere un’opinione ce ne sarebbe e tanta. E sarebbe giusto e opportuno schierarsi.

Così, per coerenza e perché quello che succede in Bolivia non ci può lasciare indifferenti.

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Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.