Tra il dire e il fare… c’è la pesante situazione a valle del processo di fusione-integrazione tra Banca Intesa Sanpaolo con BPVi e Veneto Banca: la parola all’esperto

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Gent. direttore, mi permetto di inviarle un mio intervento circa la pesante situazione che si sta riscontrando a valle del processo di fusione-integrazione tra Banca Intesa Sanpaolo e le due Banche Popolari venete (della situazione eravamo stati facili profeti il 13 ottobre 2017: “Carlo Messina di Intesa Sanpaolo: va tutto bene per le aziende clienti delle fu BPVi e Veneto Banca. Tutto tutto anche per oro, Iran, fidi multipli e… per fornitori della stessa Intesa?“). La rocambolesca vicenda che ha portato al cosiddetto “salvataggio” di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca da parte di Banca Intesa Sanpaolo, oltre ai gravissimi colpi inferti alla massa incolpevole di piccoli azionisti e investitori, sta provocando (come qualcuno giustamente preventivava) delle grosse perturbazioni pratiche in Vicenza e provincia che giungono a incidere sull’esistenza stessa di molte aziende medie e piccole.

Da un lato i vertici di Banca Intesa hanno inteso rassicurare (con dichiarazioni rese a giornali locali e nazionali) che si sarebbero fatti tutti gli sforzi perché fosse preservato il delicato equilibrio imprese-credito tipico di questo territorio; dall’altro, a poche settimane dalla unificazione procedurale e strutturale delle tre banche, si avvertono i primi contraccolpi negativi inferti alle aziende sia dalla concentrazione in un unico soggetto degli affidamenti che, prima della fusione, erano suddivisi tra Banca Intesa (o realtà affini come Cassa Risparmio del Veneto), Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, sia dall’interpretazione “locale” (in particolare del Centro Imprese di Vicenza e del suo coordinatore) di una via che DEVE comportare la progressiva (e rapida) riduzione degli affidamenti complessivi in modo tale da ridurre il rischio che, gioco forza, si è concentrato.
Più che un credit crunch (stretta creditizia) pare giunto il momento di una riduzione drastica e non negoziabile dei crediti concessi alle imprese.
Ciò in particolare per quanto attiene al comparto orafo.
Via i prestiti d’uso di argento (semplicemente: Intesa non li ha come prodotto e quindi…);
via (oppure ridotti al minimo) i Prestiti d’uso d’oro, malvisti perché si concede oro di proprietà della banca (e non denaro) a quei pochi straniti operatori che ancora (ma pensa che assurdità) lo lavorano, producendo e commercializzando quella cosa immateriale cui tutti (banche comprese) sembrano tenere tanto: il Made in Italy.
La soluzione al problema? Secondo Intesa operazioni a Medio/Lungo termine che, ammesso vengano effettivamente concesse (del che si dubita), affossano i bilanci caricando di debiti la situazione patrimoniale delle imprese. Così essa, risentendone negativamente, marcherà indicatori sintomatici strutturali deficitari (o più deficitari di quanto non fossero prima della fusione tra le banche) i quali, a loro volta, produrranno un rating peggiorato e, di conseguenza, indurranno un’ulteriore richiesta delle banche di riduzione del credito concesso, oltre a un peggioramento (guarda un po’ che sorpresa) del sistema di tassi e condizioni applicate al cliente.
Come si vede una cosa è dire (in alto, per principi di massima), una cosa è fare (qui a Vicenza, nei fatti).
La situazione va governata e non lasciata al puro rapporto banca-cliente che è, di per sé, un rapporto diseguale e asimmetrico.
Sarebbe opportuno che la politica, Confindustria e le Associazioni di Categoria svolgessero appieno un ficcante controllo (ed eventualmente quella necessaria risposta interdittiva) che appare necessario quanto urgente.
E non si dica che il merito creditizio e la sua gestione è “questione interna alla banca”! Un istituto di credito che acquista per 50 centesimi un altro istituto (naturalmente solo la parte “buona”) caricando sulla fiscalità pubblica ciò che non le aggrada, ha il dovere morale, oltre che civico, di operare in modo attento e rispettoso in un territorio già duramente devastato proprio dalle banche.
Né si dica che si opera “secondo le regole”.
Le regole, secondo uno dei più grandi giuristi italiani, per ragioni di equità sono come le uova: a volte stanno bene strapazzate.
E regole applicate apoditticamente e senza criterio feriscono e lacerano ancora di più. I romani, che erano come si sa un popolo barbaro, sostenevano: “Summum ius, summa iniuria” (“somma giustizia, somma ingiustizia, ndr”).
Ma questa è cultura e, si sa, non è di casa al Centro Imprese di Banca Intesa.

Dott. Giuseppe de Concini

 

Studio aziendale Giugni de Concini

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