Stephen Hawking: “un “politico” che riusciva a vedere i pericoli che l’uso individualista e improprio della scienza può creare alla collettività”

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Stephen Hawking è morto. Una delle più lucide e brillanti intelligenze che il nostro tempo ha conosciuto si è spenta. Non potrà più spiegarci la natura, le regole, la complessità, i misteri del cosmo. Hawking, nonostante la malattia che lo ha colpito da giovane e lo ha seguito fino alla morte, è riuscito a pensare e a farci pensare cose che non sono facili da capire, ma che, al tempo stesso, sono l’essenza dell’universo e della vita stessa. Quanto ha scritto e ci ha lasciato, quello che ha elaborato, la stessa sua esistenza ci hanno fatto sognare mondi lontanissimi, infiniti, irraggiungibili.

Concetti difficili da capire che sembrano, apparentemente, distanti anni luce dalla realtà del nostro mondo e dai bisogni terreni.

Ma Hawking fu anche un grande divulgatore che rendeva “facili” concetti astratti ed estremamente complessi. Ricordiamo il suo libro, forse, più famoso “Dal big-bang ai buchi neri. Breve storia del tempo” nel quale ci racconta la moderna teoria del cosmo in maniera accattivante, senza l’utilizzo di formule, simboli e numeri che sarebbero, sicuramente, di difficile comprensine. Ed è proprio in questa sua ricerca di abbattere le barriere che ostacolano la conoscenza che diventa doveroso leggere la sua grandezza.

Lo ricordiamo, adesso, come uno dei geni del nostro tempo. Una persona eccezionale. La dimostrazione vivente che la malattia fisica devastante che lo accompagnava non poteva limitare le sue capacità intellettive.
Ma Hawking fu anche un pensatore fuori dagli schemi. Un “politico” nel senso alto del termine che riusciva a vedere il futuro e i pericoli che l’uso individualista e improprio della scienza può creare alla collettività.
Se si rileggono alcune sue frasi sullo sviluppo teconologico e la robotica (la cosiddetta quarta rivoluzione industriale) che espresse qualche anno fa, si capisce come Hawking non fu soltanto un fisico teorico staccato dalla realtà, ma uno scienziato che voleva asservire la conoscenza alla crescita di tutta la società.
Dovremmo avere paura del capitalismo, non dei robot: l’avidità degli uomini porterà all’apocalisse economica” o “se le macchine finiranno per produrre tutto quello di cui abbiamo bisogno, il risultato dipenderà da come le cose verranno distribuite. Tutti potranno godere di una vita serena nel tempo libero, se la ricchezza prodotta dalla macchina verrà condivisa, o la maggior parte delle persone si ritroveranno miseramente in povertà se la lobby dei proprietari delle macchine si batteranno contro la redistribuzione della ricchezza. Finora, la tendenza sembra essere verso la seconda opzione, con la tecnologia che sta creando crescente disuguaglianza“, sono dichiarazioni decisamente inusuali e in
controtendenza rispetto al pensiero unico oggi trionfante.

Che la terra gli sia lieve.