Sette offerte concrete italiane e straniere per rilevare la Miteni: uno spiraglio per lavoratori e bonifica

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Dopo le incognite che derivano dal prevedibile fallimento che il tribunale di Vicenza ha decretato nei confronti della Miteni, da tempo sotto attacco, non sempre cristallino, per l’inquinamento da Pfas, che di certo non è attribuibile solo all’azienda di Trissino, si è iniziato a parlare di società e/o cordate che potrebbero rilevare lo stabilimento e i suoi brevetti dall’attuale proprietà, cioè la holding germanico-lussemburghese Icig. Sarà compito del curatore fallimentare Domenico De Rosa valutare le eventuali offerte tutte “coperte” nei documenti prodotti al tribunale da clausole di NDA (Non disclosure agreement, alias clausole di riservatezza).

Ma siamo in grado di escludere che tra gli acquirenti più probabili ci siano l’indiana Aarti industries o della finanziaria londinese K Capital Investment

Di questi possibili acquirenti si è letto in questi giorni ma sono i nomi che apparivano nell’istanza di proroga della richiesta di concordato poi superata dalla documentazione allegata alla richiesta di fallimento poi decretato l’8 novembre scorso..

Da fonti confidenziale possiamo riassumere lo scenario ad oggi.

Ci sono sette offerte con proposte concrete di società Italiane e soprattutto estere che hanno interessi diversi (produzione, ricerca, utilizzo del know how…). Alcune sono in concorrenza tra loro altre possono collaborare nella gestione del sito e nell’utilizzo degli impianti per la produzione. Questo perché di aziende capaci di fare l’elettrofluorurazione come la fa (la faceva) Miteni ce ne sono due al mondo e nessun’altra in Europa (questo è anche il motivo per cui il Genx olandese arrivava in Italia, visto che solo qui si poteva rigenerare altrimenti andava buttato come rifiuto).

Se il curatore lo riterrà e lo consentirà, sarà, quindi, possibile mettere intorno a un tavolo alcune di queste società per creare una prospettiva che si sviluppi a breve termine (24 mesi) col mantenimento di redditività dell’impianto per finanziare la bonifica e mantenere i posti di lavoro.

Poi a lungo termine la realtà subentrante si concentrerebbe non più sulla quantità della produzione, cosa che non è più nemmeno competitiva con quella del Far East, ma sulla parte di ricerca e produzione di molecole perfluorurate “nobili” e, quindi, a maggior valore aggiunto utilizzate prevalentemente nell’elettronica e nel settore farmaceutico.

Va da sé, fanno notare le stesse fonti, che alcune di queste società produrrebbero Pfas nei loro Paesi utilizzando la tecnologia Miteni.