Il discorso narcotico di Sergio Mattarella infarcito di fake news e dimenticanze

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Ieri il presidente Sergio Mattarella ha pronunciato il suo discorso di fine anno con la forza di un narcotico. Mai un sussulto, un gesto o un tono di voce che potessero anche richiamare lontanamente un sentimento non dico di entusiasmo, ma di speranza verso il futuro. Una noiosa piattezza che ha dilatato i dieci minuti del suo “saluto alla Nazione” in una serie di luoghi comuni, ovvietà e dimenticanze. Qualcosa, però, deve essere evidenziato. Il richiamo alla guerra “vittoriosa” del 1915-18 e l’affermazione che stiamo vivendo il più lungo periodo di pace in Italia e in Europa, appaiono inquietanti.

La prima guerra mondiale è stata una carneficina tutt’altro che qualcosa di “vittorioso” da celebrare in maniera così esplicita con un vecchio patriottismo di stampo nostalgico. Il fatto, poi, del “lungo periodo di pace” che staremmo vivendo è, chiaramente, quella che oggi va sotto il nome di “fake news“.

Quante guerre si sono viste dalla fine della seconda guerra mondiale? Tante, troppe. E quante hanno visto protagonisti i paesi europei e anche la nostra povera Patria? Innumerevoli. Si va dalle guerre per mantenere le colonie all’esportazione della “democrazia”, dai bombardamenti preventivi (sulla popolazione civile) ai finanziamenti di colpi di stato di marca nazifascista. Ricordiamo, e sono solo un esempio, il ruolo della Francia in Vietnam o in Algeria, l’uccisione di Lumumba e la crisi in Congo, la guerra civile in Irlanda del Nord, la guerra nell’ex Jugoslavia, l’intervento “umanitario” in Somalia, in Afganistan, in Irak …

E poi, i disordini, le violenze e il conseguente colpo di stato finanziato in Ucraina, la guerra contro le popolazioni del Donbass, l’intervento militare in Libia che ha scatenato un caos ingestibile, il ruolo dell’Italia nella vendita di armi che servono a distruggere intere popolazioni come nello Yemen …

Senza parlare di quella vera e propria guerra economica e finanziaria che ha affamato la Grecia, dell’austerità imposta dalla UE alle popolazioni europee che ha provocato impoverimento e disoccupazione insostenibili, delle stragi di migranti che fuggono guerre e povertà provocate nei loro paesi d’origine dagli interventi anche europei, la crescita di pulsioni razziste, xenofobe, naziste nel cuore dell’Europa senza contrasto da parte delle “istituzioni” …

A qualcuno pare che questa sia “la pace”? O no si dovrebbe parlare, forse, di affari e guadagno, di “convenienza”, arricchimento per chi è più forte e potente mentre la stragrande maggioranza della popolazione subisce miseria, sfruttamento, guerra?

Mattarella ha richiamato la Costituzione (che è entrata in vigore settanta anni fa). Una cosa scontata e ovvia dal momento che il Presidente ne è il garante. Ma è, almeno per me, di una gravità assoluta che non abbia mai detto da dove e da cosa nasce la nostra Costituzione. Mattarella si è “dimenticato” di riferirsi alla Resistenza e alla guerra di Liberazione dal nazifascismo. Probabilmente per lui era importante ricordare la “guerra vittoriosa del 15-18” e il 4 novembre piuttosto che il 25 aprile. Una “dimenticanza” colpevole visto che la Costituzione si fonda sull’antifascismo.

Mattarella ha anche affermato che il lavoro è la prima e più grave questione sociale e ha richiamato il dovere di garantire la tutella dei diritti e della sicurezza per chi lavora. E si è rivolto in particolare ai giovani. Giustissimo. Come giusto è affermare che ci vogliono proposte realistiche e concrete.

Ma allora, perché Mattarella, nel suo ruolo di Presidente della Repubblica ha firmato i decreti attuativi del “Jobs Act” che ha tolto diritti ai lavoratori e precarizzato ancora di più il lavoro? E perché ha firmato la legge conosciuta come “buona scuola” e l’alternanza scuola-lavoro? E, visto che si richiama spesso alla Costituzione (quella nata dalla Resistenza che ieri non ha neppure citato) perché si era di fatto dichiarato favorevole all’approvazione della riforma costituzionale bocciata dagli elettori il 4 dicembre scorso? E, infine, visto anche il suo richiamo alla legge elettorale, perché è così favorevole all’attuale legge che, di fatto, ostacola (nei modi e nei tempi) la presentazione di liste diverse da quelle dei partiti già presenti in parlamento?

Domande semplici, risposte forse complesse. L’unico augurio che sarebbe giusto fare per questo anno nuovo è che il popolo si riprenda potere e sovranità. Un diritto che la Costituzione (quella nata dalla Resistenza) sancisce e che difficilmente viene applicato.

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Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.