Fondo di ristoro per flop di BPVi, Veneto Banca & c.: giustificato da mancanza di soggetti capienti per loro vittime, ma tirare la corda al rialzo rischia di romperla

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Nel condividere appieno l’indignazione del direttore di VicenzaPiu.com nei confronti di chi ritiene di farsi bello nel chiedere l’impossibile per il fondo di ristoro delle vittime delle banche laddove il rischio non indifferente è che tutto salti, mi limito a due considerazioni. Innanzitutto, il limitare l’accesso al Fondo di ristoro ai soli azionisti delle banche venete in LCA, la Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, e delle quattro banche in risoluzione, Banca dell’Etruria e del Lazio, CariChietiBanca delle Marche e CaRiFe, è giustificabile solo in quanto le vittime del misselling di tali istituti non avrebbero alcun soggetto capiente nei cui confronti fare valere i propri diritti.

 


E questo è vero a differenza, ad esempio, delle vittime del misselling del Monte dei Paschi, di Banca Carige, di Banca Popolare di Milano, di Banca Popolare di Bari, di Banca Popolare di Verona, i quali se ritengono di essere stati ingiustamente danneggiati, possono far valere i propri diritti in giudizio

Se il Fondo non ha più la funzione di ristorare chi ha dimostrato di avere subito un danno ingiusto ma, più semplicemente, di corrispondere un indennizzo a tutti coloro che agli inizi degli anni 2.000 possedevano azioni di banche, non ha più motivo l’esclusione dal beneficio statale dei 200.000 azionisti del Monte dei Paschi di Siena o di Banca Carige, ove si consideri che Giovanni Berneschi, Ad di Banca Carige, ha già un condanna in appello a otto anni e sette mesi per truffa e le evidenze raccolte rendono quasi certa la condanna dell’ex presidente di MPS Giuseppe Mussari il cui processo è alle battute finali. In breve, le associazioni degli azionisti del Monte dei Paschi e di Banca Carige hanno già sin d’ora maggior titolo (penale) per richiedere che anche i propri assistiti (che nel complesso hanno perso ben più di quelli delle ex banche popolari venete) accedano al Fondo di quanto ne abbiano quelli delle venete. Sicchè una legge basata su tali presupposti (indennizzo solo per alcuni) sarebbe con tutta evidenza discriminatoria e passibile di declaratoria di incostituzionalità.

In secondo luogo darei quasi per certo che i liquidatori delle LCA revocheranno gli importi della OPT (Offerta pubblica di transazione), specie ora che si è accertata l’insolvenza di entrambe le banche venete intervenuta neppure due mesi dopo l’erogazione degli importi pattuiti. Questo è il motivo primo per includere chi ha sottoscritto la transazione tombale nei beneficiari del Fondo di ristoro. Alla richiesta di restituire il 15% gli azionisti sarebbero di certo scesi in piazza, laddove il passaggio del denaro potrà un domani avvenire direttamente dal Fondo di Ristoro alle LCA in nome e per conto degli azionisti che hanno transato, al contempo debitori delle LCA e creditori del Fondo.
Sicché dal miliardo e 500 milioni disponibili andranno dedotti i suddetti 400 milioni di euro spesi per le transazioni che, usciti da una porta, rientreranno nella disponibilità del Mef dall’altra. In tale ottica ben si comprende il motivo per il quale il Mef avrebbe voluto inibire a chi accede al Fondo la possibilità di avviare autonome richieste risarcitorie verso terzi, poiché la revoca dell’OPT farà tornare in gioco tutti gli aderenti. 
In breve i soldi disponibili sono meno di quanto appare.

Per questo mi preoccupa alquanto chi vuole stravolgere in Senato l’art. 38 della Finanziaria 2019, perché ne dimentica i pregi e sottovaluta le conseguenze di tale proposito.