E 100… i morti sul lavoro

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Sono 100 i morti per infortunio nei luoghi di lavoro da inizio anno. Se si considerano i decessi con i mezzi di trasporto il numero deve essere raddoppiato. Duecento persone che, troppo spesso, sono morte in un assordante silenzio. Durante la campagna elettorale pochissimi hanno detto qualcosa su questa continua carneficina. Gli esponenti delle forze politiche che sono entrate in parlamento ogni tanto si mostrano “indignati” parlano di “fenomeno da affrontare”, di “tragica fatalità”. Poi, si girano da un’altra parte e continuano nei loro giochi di potere.
Parlare di lavoro dalla parte dei lavoratori, di sfruttamento, non è più “di moda”. Bisogna parlare di altro fomentando paure e odio verso il diverso che ci appare “strano”. Da questi ci dobbiamo difendere anche con la violenza e le armi. Morire di lavoro è diventato normale. Fa parte del sistema e di come questo considera chi vive del proprio lavoro.
Bisogna rendersi conto che, in questa società capitalista e iperliberista, lavoratrici e lavoratori non sono più considerati “persone”. Sono diventati “capitale umano”, “esuberi”, “risorse umane” e valgono meno, molto meno, del profitto che deve andare nelle tasche di “lorpadroni”, degli sfruttatori del lavoro altrui.
La situazione è, purtroppo, desolante e disperata. Centinaia di morti ogni anno, l’indifferenza delle forze politiche che siedono in parlamento, l’annullamento di qualsiasi diritto per chi vive del proprio lavoro. Del resto, secondo “lorpadroni”, la sicurezza nel lavoro è qualcosa che può ostacolare la competitività. E, così, abbattono i costi (sicurezza e salar in primis), aumentano l’orario per addetto, creano competizione tra lavoratori con il ricatto occupazionale. Riducono persone in carne ed ossa, sentimenti e intelligenza al ruolo di automi, di macchine o pezzi di queste.
Cambiare non solo si può. Si deve. Ricominciando a pretendere il diritto al lavoro sicuro, a tempo indeterminato e giustamente retribuito. Quello previsto dalla nostra Costituzione.