BPVi, CorVeneto: i nove mesi sul baratro fino allo stato d’insolvenza

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Due anni drammatici, tra i blitz della Finanza dopo le ispezioni Bce sul miliardo di «baciate» e i fallimenti di Etruria, che fanno scappare i clienti e rendono irreversibile la crisi di Banca Popolare Vicenza. E gli ultimi nove mesi da infarto, giorno per giorno sul baratro, ricostruiti con i numeri della relazione con cui il 23 giugno 2017 la Banca centrale europea dichiara BPVi a rischio dissesto. Con la liquidità netta che finisce sotto pressione già negli ultimi tre mesi 2016 e va in negativo a dicembre, dopo l’aumento di capitale da 1,5 miliardi di Atlante e l’avvio della gestione del nuovo cda, quando balena il piano di fusione tra Bpvi e Veneto Banca come soluzione salvifica, mentre la gestione sfugge di mano.
E poi con la necessità di iniettare, a gennaio, liquidità d’emergenza per pagare un bond da 500 milioni. E di chiedere altri 3 miliardi garantiti dallo Stato, bruciati già a metà marzo, e poi altri 2,2, concessi il 25 maggio. Fino ad arrivare a fine corsa il 21 giugno, quattro giorni prima della liquidazione, quando in cassa ci sono solo 420 milioni di liquidità netta, per «un periodo di sopravvivenza» che non sarebbe durato più d’un mese.

È una ricostruzione puntigliosa quella contenuta nell’istanza con cui i pm di Vicenza Luigi Salvadori e Gianni Pipeschi, titolari dell’inchiesta sul crac della banca, hanno chiesto l’insolvenza di Bpvi. Sette pagine fitte di dati e citazioni, per chiedere il passaggio dalla liquidazione al fallimento, che saranno la base su cui il giudice Giuseppe Limitone (che ha riunito in questo procedimento le richieste d’insolvenza presentate dall’avvocato Luigi Fadalti e da alcuni risparmiatori, mentre l’analoga vicenda in Veneto Banca andrà in udienza il 23 marzo) dovrà decidere se insolvenza ci fu o no, e il momento in cui eventualmente fissarla, stabilendo insieme le responsabilità. Decisione delicatissima, in una situazione somigliante negli ultimi mesi di vita di Bpvi ad un interminabile folle giro sull’otto volante, tra depositi che scappano, liquidità agli sgoccioli e lo Stato che la tampona con miliardi di bond garantiti, permessi da Bce con una dichiarazione di solvibilità basata però sui dati di settembre 2016, anteriori al deterioramento finale, in attesa di una ricapitalizzazione precauzionale data per certa e che invece non arriverà mai. Data per certa, al punto che Bpvi e Veneto Banca pagano a maggio 400 milioni per le transazioni con i soci in una situazione che si avvita in modo drammatico e che, con il senno di poi, pare quasi un azzardo.

E dunque quando arriva il punto senza ritorno? Tra fine maggio e inizio giugno, secondo l’ex amministratore delegato di Bpvi, Fabrizio Viola, sentito, si scopre, da commissario liquidatore, come testimone il 20 dicembre 2017. Il 25 di giugno secondo i pm, quando va fissata l’insolvenza. Lettura che sgrava il cda di Atlante delle responsabilità.

Restano i numeri, sparsi per sette pagine, di una situazione drammatica. «Situazione, quanto ai requisiti di credito e liquidità – come scrive Bankitalia in una relazione del 13 novembre 2017 – già pesantemente compromessa anteriormente al giugno 2017». Restano gli 8,3 miliardi di depositi persi in 20 mesi, tra agosto 2015 e aprile 2017, il 43% del totale, 6,7 dei quali già andati a settembre 2016. E gli 1,2 miliardi scappati in soli venti giorni, tra il 7 e il 27 marzo 2017. Il tutto in un quadro di Bpvi che Bce descrive come «strutturalmente non redditizio» e con «una tendenza strutturale alla perdita»: 112 milioni di «rosso» nel solo primo trimestre dello scorso anno e «una perdita globale netta per il 2017» prevista allora che sarebbe lievitata fino a 1,4 miliardi.
Da Il Corriere del Veneto