Bankitalia prova a vendere suoi immobili e rimpiange Gianni Zonin che le strapagò Palazzo Repeta. Con i soldi dei soci della BPVi senza i cui fidi Zonin spa ora cerca azionisti

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Avvisi e peocedure di vendita dei suoi immobili siti in Taranto, Reggio Emilia, Benevento, Treviso, Pordenone, Pesaro sono apparsi oggi sul sito di Banca d’Italia. Che manchi la vendita di un’altra sua storica sede, Palazzo Repeta di Vicenza, è cosa nota da quando Gianni Zonin con (i soldi dei soci della) BPVi si offrì di acquistarlo nel 2014 (quando la banca era già decotta e non solo) dopo tentativi di vendita andati falliti offendo un prezzo addiritttura superiore a quello della base d’asta (9 milioni di euro). 

Lo storico palazzo doveva essere inserito in un progetto di trasformazione a cui il Comune di Vicenza era favorevole e che comprendeva l’ex Cinema Corso, fatto improvvidamente acquistare alla Fondazione Roi, e l’ex sede della Camera di Commercio, anch’essa acquistata con un preliminare da Zonin e che ora, una volta che l’Istituto di via Btg Framarin passato nelle mani di Atlante aveva preferito perdere la caparra di 700.000 euro pur di non accollarsi il palazzo, Otello Dalla Rosa, battuto anche per questo, voleva destinare a nuova sede degli uffici comunali.

È così che avrebbe trovato, nel segno della ora anche per lui “maledetta” continuità col predecessore,  una nuova soluzione più che per la comunità cittadina soprattutto per Paolo Mariani, il presidente della CCIAA che, da socio per un terzo della ex Fiera di Vicenza, aveva assecondato Achille Variati, socio per gli altri due terzi come sindaco e presidente della provincia di Vicenza, in tutte le sue nomine e decisioni per uno degli ultimi gioielli di famiglia, inclusa la sua cessione, carta contro carta, alla Ieg di Rimini la cui proprietà locale recentememte ha fatto capire che il suo 81% di quote azionarie vale il 100% mentre conta meno di zero il 19%, di carta, rimasto a Vicenza.

È dimostrato anche dai fatti dei palazzi, di cui abbiamo appena ricordato queste “storie” intrecciate tra banca, politica e affari, e a prescindere da quale sarà, se ci sarà, l’esito del procedimento penale in corso, che Banca Popolare di Vicenza, insieme con la sua “succursale” Fondazione Roi, utilizzata al di fuori dello statuto per le prebende scambievoli (do ut des) al sottobosco “culturale” locale, rientrava in un concetto padronale di Gianni Zonin, il presidente dei due cda composti da membri da lui cooptati a sua immagine e obbedienza.

Tutto, ovviamente, a carico dei 118.000 e passa soci che, grazie anche alle amnesie di Banca d’Italia, il controllore che per Palazzo Repeta faceva affari col controllato, e alla interessata connivenza o volontaria cecità dei poteri locali (proprio Achille Variati, lamentandosi dei voti mancati per la conferma del suo sistema, ha accusato i cattolici di “essere complici della sconfitta di Dalla Rosa per essersi altrove“) sono rimasti alla fine col cerino in mano delle azioni passate da 62,50 euro a 10 centesimi o, peggio, zero di chi non aderì all’Opt.

A chiudere il cerchio sull’interessata gestione padronale della banca che doveva essere popolare (era una cooperativa del popolo) ci sono le notizie sulla evoluzione (involuzione?) delle vicende della Zonin Spa.

Cresciuta sempre sotto l’ala protettrice del “sistema” che non negava certo consistenti affidamenti all’impero del vino di Zonin, allora “rispettabile e potente” banchiere, l’azienda ora si trova sotto il peso di oltre 180 milioni di indebitamento  “i quali scriveva anche Giovanni Pons su Business Insider il 13 maggio scorso al primo palesarsi pubblico del problema –, rapportati a un ebitda (margine lordo) di circa 27 milioni portano a un multiplo di oltre 6 volte, troppo alto e obbiettivamente sostenibile. Bisogna ridurlo almeno a 3,5 volte… Ma ora questa situazione non è più sostenibile e c’è assolutamente bisogno di un aumento di capitale da 50-70 milioni che riequilibri strutturalmente la situazione finanziaria…”.

Da qui la ricerca di un socio, che, se lo si vuole poco interessato alla governance, come vogliono gli eredi veri o in parte “revocabili” di Gianni, deve poter contare su una ditribuzione consistente di utili da parte di una società finora essenzialmente commerciale e non abituata a staccare cedole consistenti.

Come fare allora?

Il progetto e il piano per esaudire le banche finanziatrici che reclamano i loro denari, per finanziare il futuro con soldi freschi e per remunerarli adeguatamente, visto che pare che di capitali propri da immettere mai si sia parlato in quel di Gambellara, ora, dopo qualche nostro “studiolo”, ci sono chiari.

E ve lo spiegheremo domani o giù di lì, dipende dal fuso, visto che siamo ora in Usa (in Pensylvania per la precisione a nord dei possedimenti in Virginia della “famiglia”) e da lì scriviamo.